LA NASCITA DELL’EUROPA - 5 – Per terra e per mare
di Luigi Gentile
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Una grande massa di gente, fatta da singoli o da intere popolazioni sparse per l’Europa, più o meno coscientemente, oltre le merci, le malattie e le pestilenze, diffuse anche le tecniche e soprattutto le idee che col tempo contribuirono a trasformare questo mosaico di etnie differenti in un unico organismo.
Tutto questo grande movimento di gente e di popoli, il loro sovrapporsi, scomparire, rinnovarsi, si può tranquillamente riassumere in una sola parola “viaggiare”.
Con il termine viaggiare si intende percorrere grandi distanze a piedi o con mezzi di trasporto, e può essere dettato dalle più svariate motivazioni: a scopo commerciale, religioso, di ricerca, d'esplorazione, d'istruzione, di riposo o di servizio dai viaggi dell’antichità derivano le parole che li identificano: viaggio, voyage (in inglese e francese) derivano dal latino viaticum (ciò che necessita lungo il cammino), journey (ingl. ciò che si fa in un giorno), travel (ingl.) dal francese travail (lavoro pesante, quindi viaggio lungo).
Oggi la parola viaggio, in molta parte del mondo, è universalmente associata al concetto di un percorso piacevole, ricreativo, con un ritorno a casa; per quello spiacevole usiamo il verbo partire, ma per altri popoli significa un’andata senza ritorno, in cerca di fortuna, soli col dolore del distacco e l’incertezza del ritorno Anche nei tempi più difficili dell’Alto Medioevo la mobilità non si interruppe: gli eserciti si spostavano per le campagne militari, i mercanti, pur se in misura ridotta, per i loro commerci, anche l’aristocrazia guerriera doveva spostarsi per espletare il servizio feudale, seguendo il signore nelle sue imprese, guadagnandosi la vita come mercenari o partecipando alle Crociate.
Per tutto il periodo carolingio ed anche ben oltre il Mille, neanche i re erano stanziali; date le difficoltà di far pervenire in un certo luogo gli approvvigionamenti necessari per la corte, se volevano mangiare dovevano spostarsi con tutto il seguito, da vassallo in vassallo, o da monastero a monastero, che erano delegati alla produzione ed allo stoccaggio del necessario.
Quattro furono le circostanze che nei primi secoli dopo il Mille incrementarono gli spostamenti di uomini e cose: la crescita dell’economia, l’espansione delle città, la promozione delle Crociate ed i pellegrinaggi, che assumevano dimensioni enormi durante i Giubilei al seguito delle armate, formate da ingenti contingenti di fanti e cavalieri che, via mare o via terra, vennero trasportati verso Gerusalemme ed i luoghi santi, si accodarono incredibili moltitudini di invasati, fedeli e sfaccendati, che distrussero e depredarono tutto quello che incontravano.
Molti uomini e donne, in abito da penitente e armati di bordone, si muovevano da soli o in gruppi sulle strade d’Europa, percorrevano lunghe distanze a piedi ed affrontavano pericoli e privazioni, per raggiungere in pellegrinaggio i luoghi santi: Canterbury, Gerusalemme, Roma, Santiago de Compostela.
Se per il Cristiano il pellegrinaggio, era obbligatorio fino all’XI secolo per l’espiazione di gravi peccati, molta più importanza assumeva per la religione islamica, dove ogni fedele aveva, ed ha ancora, il dovere di visitare la Kaaba alla Mecca almeno una volta nella vita: quindi non solo le strade erano frequentate, ma anche le piste carovaniere nel deserto.
Fra i maggiori viaggiatori troviamo le più alte cariche dell’organizzazione ecclesiastica: visite di alti prelati al Papa, visite pastorali dei vescovi nelle diocesi, viaggi del clero rurale, concili, sinodi, missioni, il tutto non solo per attività strettamente religiose, ma per funzioni amministrative, economiche di controllo dei territori.
Non vanno passati sotto silenzio i mercanti grandi e piccoli, i veri viaggiatori medievali, che per terra e per mare arrivavano ovunque e niente poteva fermarli, dalle carovane che traversavano i deserti a quelle che riempivano le strade occidentali, tutti incessantemente cercavano di rifornire le grandi fiere, i mercati cittadini come pure i piccoli borghi.
Altro gruppo continuamente in movimento era quello dei chierici vaganti, studenti che si muovevano da città in città, da università a università, per cercare insegnamenti migliori o più a buon mercato, la loro sete di sapere li portava a spostarsi ovunque in un’Europa senza frontiere.
La strada: eccetto quei pochi che vissero la loro vita in un orizzonte ristretto, nel Medioevo si muovevano tutti di continuo: la vera protagonista di quest’epoca era la strada In Europa la circolazione via terra, almeno fino al Mille, fu decisamente scarsa o quasi inesistente, le grandi vie consolari romane, con relativi ponti e viadotti, fatte esclusivamente per il transito di truppe, vennero abbandonate, i governatori locali ne trascurarono la normale manutenzione e non fecero niente per costruirne di nuove.
La strada romana era dritta, partiva da un punto preciso il miliarum aureum nel foro romano ed arrivava in un punto imprecisato, dove spesso veniva creata una città: era lastricata con pietre squadrate o con sabbia pressata, non era nata per il traffico civile, ma serviva allo spostamento veloce delle legioni e delle vettovaglie.
Sotto la spinta del commerci e dei traffici, dopo il Mille si ebbe un forte incremento nella costruzione di nuove strade con concetti differenti: non più lunghe vie diritte, fatte per coprire lunghe distanze, ma vie sinuose, intese a collegare i piccoli borghi ed i nuovi villaggi, che presto si sarebbero trasformati in città Chiunque dovesse spostarsi aveva a disposizione solo vie strette, percorribili solo a piedi o a cavallo, anche dove esistevano vere strade queste erano larghe a sufficienza per far incrociare due carri, erano dotate di ponti e spianate per un trasporto migliore di merci pesanti e fragili; anche se più strette delle vecchie vie romane offrivano maggiori condizioni di sicurezza in quanto, non essendo lastricate, non diventavano sdrucciolevoli con l’umidità e consumavano meno gli zoccoli ed i ferri degli animali.
Quando qualcuno si metteva in viaggio, usciva dal suo mondo conosciuto ed entrava in un altro sconosciuto, di cui non sapeva la lingua ed i costumi, perdeva la sua sicurezza, la sua incolumità non gli era più garantita, pertanto faceva di tutto per viaggiare con gente che parlava la sua stessa lingua o con cui condivideva la stessa religione.
Se è vero che molti singoli indifesi si univano per meglio fronteggiare i pericoli della natura e degli uomini, anche i malfattori si univano per vincerne più facilmente la resistenza; i mercanti ed i pellegrini creavano quindi dei gruppi temporanei per affrontare insieme tutte le insidie del viaggio.
Per poter avere la speranza di arrivare alla meta i più esperti dovevano studiare attentamente il territorio, i venti, le stelle e tanti altri fattori; per non perdere l’orientamento, costantemente bisognava informarsi se la direzione seguita era giusta, onde non dover fare lunghi giri inutili, che avrebbero comportato una grande perdita di tempo.
Preparativi: per tutti, ma specialmente per che andava a piedi, il bagaglio da portarsi dietro doveva essere costituito dal meno possibile: il pellegrino medio doveva portare con sé abiti di lana caldi, scarpe e calze robuste e resistenti: inutile mettersi in viaggio se non si possedeva un mantello lungo, che di notte serviva da coperta, e un cappello a larghe falde che riparava dal sole e che evitava lo sgocciolamento sul collo.
A partire dal secolo XII entrò molto in uso un mantello di tela cerata impermeabile: il “Barbour” di allora; i primi erano di origine francese e venivano importati da Chartres, ma nei secoli successivi venivano confezionati localmente.
Nella sacca erano contenuti i documenti di riconoscimento e tutte le carte necessarie, gli effetti personali, il denaro ed una piccola riserva di cibo (pane e cacio); necessari erano anche il coltello, un boccale, pietre focaie ed esche per accendere il fuoco, ed un contenitore per l’acqua, generalmente una zucca svuotata o una borraccia di pelle; immancabile era il bastone (bordone) a forma di tau con punta ferrata, che serviva per aiutarsi nel cammino, per guadare i fiumi, oltre che per difendersi dalle bestie feroci, ma all’occorrenza fungeva bene anche da stampella e da arma.
Molti si dotavano di una lettera di raccomandazione da parte di parenti ed amici, sparsi lungo il percorso, così evitavano di portare con sé grandi quantità di denaro; il denaro generalmente era custodito in una scarsella sotto chiave appesa alla cintura con cordoni che, in caso di rapina, venivano tagliati per fare più in fretta: da lì derivano i tagliaborse.
Impensabili per l’epoca robuste scarpe da viaggio: le scarpe erano fatte per circolare in città, nessuna avrebbe retto ai lunghi percorsi, alle strade disastrate ed agli impervi percorsi: il sistema migliore per risparmiare e per non aver problemi era andare scalzi, anche chi le possedeva, come appare dall’iconografia, le portava appese alla cintura.
Mezzi di trasporto: gli unici mezzi di trasporto erano legati al mondo animale e dipendevano dal clima e dall’uso che ne veniva fatto: il più semplice era l’asino, diffuso non solo nel bacino del Mediterraneo, ma anche in Europa del Nord ed in Asia, i suoi pregi principali erano l’andatura sicura, anche in montagna, si accontentava di poco, era più facile da cavalcare e poteva trasportare fino a centocinquanta chili.
Il cavallo, più veloce e forte dell’asino, poteva trainare enormi pesi (fino a 1000 chili): come carico portava poco più dell’asino, ma il suo uso principale era da sella.
Sia in Occidente che nel mondo islamico l’allevamento selettivo dei cavalli portò alla creazione di razze veloci e potenti, in grado di sostenere un cavaliere con relativa armatura pesante.
Nel Medioevo vi erano in Europa molte razze autoctone, oggi scomparse, con animali piccoli e resistenti favoriti erano quelli del nord: la selezione delle cavalcature, oltre alla robustezza e alla velocità, doveva innanzitutto anche tener conto della resistenza alle malattie poiché, come succede in questi casi, i progressi nell’allevamento potevano avere anche effetti negativi: solo animali duri, ben alimentati ed in perfetta forma potevano sopportare distanze e fatiche prolungate.
Chi viaggiava a cavallo decisamente aveva spese maggiori per il suo mantenimento e le cure, data la mancanza di veterinari, la scarsezza di maniscalchi, l’incertezza di trovare stalle e foraggio, la difficoltà a trovare cavalli di ricambio: bisognava saper ripartire gli sforzi, i carichi, curarli, lasciarli riposare.
Se i cavallo era carico aveva la stessa velocità dell’uomo, costretto ad andare a piedi, se l’uomo viaggiava a cavallo era più veloce di quello a piedi o a dorso d’asino, ma era anche considerato un benestante, e pertanto escluso da alcune agevolazioni e privilegi riservati ai i poveri (tipo alloggio gratuito negli ostelli, ecc.).
Il mulo, come animale da carico, da traino e da sella era utilizzato da gente di rango inferiore ai cavalieri, anche se per sobrietà, resistenza, affidabilità e sicurezza di andatura era di gran lunga superiore al cavallo.
Il mulo era robusto quanto il cavallo, ma più sobrio, paziente e resistente alle malattie: la sua vita lavorativa, la resistenza ai lavori più pesanti e la sicurezza con cui procedeva carico su percorsi impegnativi lo rendevano decisamente superiore.
Il più importante mezzo di trasporto terrestre era il cammello, diffuso soprattutto in Asia centrale ed in Africa: senza di esso non sarebbero arrivate in occidente droghe, tessuti ed oggetti preziosi; animale da sella e da trasporto non aveva confronto con altri quadrupedi per quanto riguarda resistenza e capacità di carico: infatti, poteva percorrere anche centocinquanta chilometri in un giorno con un carico di 270 kg.
Nessun altro animale da sella e da soma era in grado di affrontare viaggi in regioni estreme e con caratteristiche ostili all’uomo, un fitto pelo lo proteggeva dal caldo e dal freddo, poteva stare per giorni senza mangiare e bere e spesse callosità sotto le zampe gli permettevano di procedere sui terreni più accidentati.
Gli animali da tiro per carri ed attrezzi agricoli più diffusi nel medioevo erano i buoi: anche se più piccoli e meno robusti di quelli odierni, in genere erano più utilizzati per piccoli spostamenti, in quanto la loro lentezza, il costo degli uomini e del foraggio non li rendevano convenienti per i lunghi trasporti rispetto agli animali da soma.
La maggior parte della gente durante tutto in Medioevo viaggiava a piedi, il viaggio sul carro, anche se terribilmente scomodo per la mancanza di sospensioni e per lo stato delle strade, era riservato alle donne, vecchi e malati; solo nobili, cavalieri e prelati andavano a cavallo, solo chi aveva grandi ricchezze e voleva farsi notare viaggiava in lettiga.
Le donne che viaggiavano a cavallo generalmente cavalcavano all’amazzone, cioè sedute di traverso e con le gambe da un solo lato, in occidente montare a cavalcioni con le gambe divaricate da sempre fu ritenuto sconveniente, ma, quando entrava in gioco la sicurezza, al decoro si rinunciava facilmente.
Fino al XIX secolo la maggior parte delle persone continuò a viaggiare a piedi, ad una velocità media di quattro-sei chilometri ora; si potevano percorrere dai trenta ai quaranta chilometri al giorno, mentre se si procedeva a cavallo si arrivava a cinquanta-sessanta; molto spesso si camminava scalzi per abitudine o per risparmiare le scarpe, più lenti erano gli storpi che avanzavano servendosi di sgabellini per non sbucciarsi le mani sulla strada.
Sul totale del viaggio la media non corrispondeva alla realtà (X Km x X giorni = tempo di viaggio), si dovevano aggiungere i giorni di riposo per uomini ed animali, le soste forzate per malattia o condizioni atmosferiche, le visite ai santuari importanti, ai parenti ed alle fiere.
Con questi mezzi e con questi tempi il viandante medievale percorreva migliaia di chilometri.
Stagioni: dopo la pausa invernale rincominciavano i viaggi; al Sud la primavera iniziava prima che al Nord, le giornate divenivano più lunghe e calde, la neve si scioglieva sui campi e gli animali iniziavano a trovare foraggio fresco, ma la situazione non era idillica: le strade, più che sentieri, erano praticamente impercorribili per il disgelo, ed uomini, animali e carri sprofondavano nel fango.
Solo i più coraggiosi osavano affrontare queste difficoltà, molti mercanti in prima fila erano disposti a rischiare e si avventuravano su queste strade ostili, mentre altri aspettavano al sicuro tempi migliori.
Dopo un lungo inverno, molta gente aveva terminato le scorte di qualsiasi genere ed attendeva con impazienza l’arrivo di nuove mercanzie: chi arrivava per primo gestiva il mercato, imponeva i suoi prezzi, che si sarebbero di molto ridotti quando la grande quantità sarebbe affluita sui mercati.
Se all’inizio della primavera le condizioni di viaggio erano proibitive, col trascorrere dei giorni le condizioni climatiche e meteorologiche miglioravano: i passi montani si aprivano, i fiumi si scongelavano e la natura ritornava a fiorire.
Era in questo periodo che in tutta Europa si riproponevano le grandi fiere, dove affluivano le più svariate merci nazionali e quelle pregiate di paesi lontani; oltre alle fiere nelle città vi erano le grandi festività, quali l’Ascensione o la Pentecoste che richiamavano una grande quantità di persone e di merci.
L’estate era la stagione ideale per i viaggi, anche nelle regioni del Nord il viaggiatore aveva a disposizione molte ore di sole, i mercati offrivano cibo e prodotti di ogni genere in grandi quantità; chi si spostava in questo periodo poteva tranquillamente dormire all’aperto, risparmiando sul pernottamento in locande, ma vi erano anche i lati negativi: con l’estate arrivavano le zanzare e per i cittadini del Nord Europa, che scendevano verso il Mediterraneo, queste potevano rappresentare un grande rischio di morte.
Ancora ai primi dell’autunno chi viaggiava via terra era favorito dal tempo caldo ed asciutto, continuava a dormire all’aperto, vi era ancora molta gente nei campi e sulle strade e questo era un ulteriore motivo di sicurezza; data l’abbondanza di prodotti alimentari i prezzi erano più bassi, ed inoltre la natura forniva una grande quantità di verdure, bacche selvatiche, noci e nocciole.
La gran parte dei viaggiatori di questo periodo era gente che tornava a casa dopo lunghi viaggi, tutti erano sulla via del ritorno prima che arrivasse l’inverno, anche quelli che andavano a cavallo dovevano affrettarsi poiché l’erba sui campi cominciava a seccare e fra un po’ non avrebbero più trovato biada.
Già a novembre bisognava fare i conti con la pioggia e, se ancora non gelava si doveva arrancare nel fango; qualche ricco viandante, trovandosi ancora lontano da casa, affittava una casa e vi trascorreva l’inverno.
Se al Sud l’inverno bloccava tutte le attività di trasporto e commercio, non succedeva lo stesso al Nord ed a Est, dove le popolazioni, abituate a quel clima, si erano inventati oggetti necessari, quali scarpe da neve, pattini con lame in osso e soprattutto le slitte, con cui si muovevano sui fiumi e laghi ghiacciati: il loro larghissimo impiego e la loro diffusione, oltre la praticità, derivavano anche dall’essere esenti da tasse, a differenza dei veicoli a ruote.
I mercanti erano i viaggiatori per eccellenza, si spostavano in Europa ed in Asia non solo con le merci, ma anche con tutte le attrezzature necessarie al viaggio: indumenti di ricambio, utensili, fornacelle e stoviglie.
Chi prevedeva di trovare poche locande o taverne lungo il cammino si premuniva di viveri e generi di prima necessità; se possibile, ci si organizzava in convogli o in carovane per meglio affrontare i rischi, immancabili erano una buona scorta di denaro e tanto coraggio.
Anche nel tardo Medioevo, quando i grandi mercanti si erano stabilizzati nelle sedi permanenti, un gran numero di dipendenti continuava a spostarsi per via marittima e terrestre con i più svariati incarichi.
Chiunque, tranne quella bassa umanità che seguiva il flusso, prima di intraprendere un viaggio per luoghi sconosciuti, studiava il percorso, si faceva una scaletta delle tappe e dei percorsi alternativi, per sapere dove ogni sera avrebbe potuto fermarsi, mangiare ed alloggiare.
Certo che non disponevano di carte stradali e di atlanti geografici, ma vi erano in circolazione molti manuali commerciali che davano informazioni sugli itinerari ed i racconti di viaggio si diffondevano e continuavano ad essere seguiti, anche secoli dopo; da tutte queste informazioni era possibile estrapolare le possibili tappe e tutte le note di viaggio: villaggi, abbazie, castelli, ospitali, locande.
Nella massa dei viandanti rilevante era quella parte costituita da giramondo: poveri, mendicanti, storpi e malfattori che seguivano il flusso, tutti erano sforniti anche del minimo indispensabile e necessitavano di tutto: mangiare, dormire, ripararsi dal cattivo tempo: ma forse era proprio per questo che si mettevano in viaggio sperando nella carità altrui e nell’accoglienza degli ostelli.
Ad essi dovevano provvedere tutte quelle persone che incontravano lungo il cammino:, infatti, tutti erano obbligati moralmente a mostrarsi caritatevoli verso i pellegrini, anche sotto la minaccia di terribili punizioni divine, tant’è che molti approfittavano di questo fatto per risparmiare i propri denari.
Sia per chi andava a cavallo sia per chi andava a piedi, il viaggio non era comodo e rilassante, il tragitto, oscillante tra i 25 ed i 30 chilometri giornalieri, veniva percorso a marce forzate per arrivare prima di notte in un posto di tappa; i viaggiatori medievali avevano la fobia di dormire all’aperto ed in luoghi deserti, avevano paura dei banditi, delle potenze malefiche, proprie della notte, e degli animali feroci veri o immaginari: se sul far della sera ancora non si era raggiunta la meta, il viaggio diveniva angosciante e si proseguiva al lume delle torce.
Per quanto riguardava la comprensione, generalmente non vi erano problemi, almeno per i paesi di area romanza, dove il latino era diffuso; per i paesi di area germanica ci si serviva dei linguaggi dialettali di più facile comprensione, ma i grandi mercanti avevano una buana infarinatura delle lingue dei vari paesi frequentati.
Ospitalità e locande: Una costante comune a tutti i viaggiatori era il tormento quotidiano di dove trovare ospitalità per la notte, o dove rimediare un piatto caldo, molte erano le opportunità che si presentavano, ma non sempre erano garantite o programmabili.
Chiaramente l’organizzazione delle locande, in certi punti di maggior traffico, era insufficiente ed allora si ricorreva all’alloggio in case private, molto spesso sovvenzionate dalle autorità locali a favore dei mercanti stranieri, a cui, oltre all’alloggio, al vitto, a stalle e magazzini, venivano fornite informazioni logistiche e contatti per muoversi a proprio agio nella regione.
Oltre all’accoglienza spontanea e gratuita dei forestieri vi erano forme d’ospitalità più o meno organizzate: molto spesso a persone sconosciute veniva offerto un letto, da mangiare, da bere, un fuoco per riscaldarsi o un pezzo di terra per piazzarvi la tenda.
Molto in voga era la pratica di essere ospitati, per brevi periodi, da correligionari; molto importante fu nei vari secoli l’ospitalità religiosa, specialmente quando gli ostelli si trovavano in terre scarsamente popolate o in montagna sui passi di valico; molti viaggiatori vi trovarono rifugio e qui potevano trovare un pasto caldo, asciugare scarpe e vestiti e pernottare al riparo dal freddo e dalla neve.
Nei monasteri vitto alloggio ed assistenza non erano uguali per tutti, ma erano conformi al rango degli ospiti: per i poveri vi era almeno una zuppa con un pezzo di pane e formaggio, diverso era il trattamento per i ricchi ed i nobili.
Fino all’XII secolo, quando re ed imperatori cominciarono a rendere stabili le loro corti, era pratica corrente farsi ospitare con tutto il seguito dai grandi feudatari o dalle grandi abbazie dove, non solo ricevevano vitto e alloggio, ma venivano riforniti di tutto il necessario; quando il seguito era particolarmente numeroso, per i cavalli e la servitù venivano erette delle tende.
Per tutta questa massa di gente erano previsti non solo banchetti sontuosi, ma anche alloggi adeguati alla loro condizione, che generalmente erano distanziati da quelli dei monaci, affinché il sonno di questi ultimi non fosse disturbato dagli schiamazzi notturni durante gli allegri banchetti.
Anche senza l’arrivo della corte, i monasteri erano sempre pieni di pellegrini e di bisognosi: spesso per soddisfarne il notevole afflusso, i monaci si ritrovarono con le dispense vuote e furono costretti a soffrire la fame, quindi, alla luce di questa esperienza, incominciarono ad accoglierne un numero prefissato.
Un forestiero poteva trovare accoglienza anche presso parroci, vedove e contadini, che offrivano loro un giaciglio sulla paglia o in forno ancora caldo; in campagna aveva inoltre la possibilità di lavorare alcuni giorni per pagarsi vitto e alloggio, specialmente nei periodi di maggior lavoro agricolo.
Il sistema maggiormente diffuso ed utilizzato era quello delle locande: per fregiarsi di questo nome l’alloggio doveva avere almeno un letto per gli ospiti, che potevano usufruire del cibo della casa, oppure portarselo dietro e prepararselo; chi sapeva di dover soggiornare in un certo posto per parecchi giorni e voleva un buon trattamento mandava avanti dei valletti con provviste, letti, tappeti e coperte.
Nelle grandi città, nelle località portuali e nei grandi borghi, sede di mercati o di fiere, i mercanti avevano una vasta scelta di locande ed osterie; molte, oltre che essere centro ricovero, di divertimento e di aggregazione, erano anche i posti migliori dove trattare gli affari. Una vasta documentazione sulle taverne ci è stata tramandata dagli statuti comunali, inerenti la regolamentazione del servizio, dagli orari di apertura e chiusura, ai pesi e misure, ai divieti del gioco d’azzardo e della prostituzione.
Proprio la continua reiterazione dell’emissione di queste norme ci fa comprendere come fossero poco rispettate e di difficile applicazione: la prima difficoltà nasceva dalla distinzione normativa fra taverna ed albergo (o locanda), in quanto la prima, oltre al vino, offriva anche da mangiare e da dormire; la seconda, oltre al mangiare ed al dormire; forniva anche il vino, anche se era vietato.
Ma, nell’incertezza del nome, molti le chiamavano osterie.
Quasi sempre, oltre questi servizi, sia le taverne che gli alberghi ne offrivano altri, non del tutto legali, fra cui il gioco d’azzardo e le prestazioni particolari dispensate dalla moglie e dalle figlie del gestore.
Nelle locande il letto era occupato da almeno due persone, normalmente ve ne dormivano quattro o cinque, quando non dieci: dormire in molti nello stesso letto non era considerato sconveniente: se potevano farlo i tre Re Magi potevano farlo tutti: non essendoci pigiami e camicie da notte si dormiva assolutamente nudi.
Chi di notte aveva necessità di espletare certe funzioni fisiologiche, se era fortunato trovava a disposizione un vaso da notte, altrimenti al buio e nudo doveva cercare il cortile o la stalla.
Spesso più letti venivano stipati in una stanza buia, per cui al ritorno era facile sbagliare ed andare ad occuparne altri con la conseguenza di trovare incontri piacevoli o poco graditi.
Il grande umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536) in uno dei suoi "Colloquia familiaria", dal titolo "Locande", comparso a Basilea nel 1523, scrive “gli odori sono disgustosi, per i rutti che sanno d'aglio, le ventosità del ventre e il fetore degli aliti”.
“Per chi voglia lavarsi le mani è pronta dell'acqua, ma di solito è così pulita che dopo averla usata devi chiederne dell'altra per nettarti dalla prima abluzione"; per quanto riguarda il servizio tovaglie dice "che sembrano vele di canapa staccate dall'albero di qualche nave”.
"La stessa che a tavola. i lenzuoli, per esempio, vanno al bucato una volta ogni sei mesi".
Navigazione: se importante era la navigazione marittima, altrettanto necessaria era quella fluviale e lacustre per far arrivare grandi quantità di merci nelle città; in Europa i fiumi navigabili favorivano i rapporti commerciali: anche quelli difficilmente navigabili venivano utilizzati con barche, chiatte e zattere, che riuscivano a trasportare l’equivalente di un carro trainato da buoi (700 kg).
Non sempre il percorso fluviale era facile, si incontravano rapide, cascatelle, rocce affioranti; quando ciò accadeva il carico ed il natante venivano trasportati via terra fino allo scavalcamento dell’ostacolo e poi si riprendeva la navigazione.
Per poter risalire la corrente le imbarcazioni venivano alate, cioè trainate con corde da terra da uomini o da animali, mentre per il percorso inverso ci si serviva della corrente che permetteva una rapida discesa; laddove le brezze di terra lo permettevano, la navigazione controcorrente veniva effettuata o, quantomeno, aiutata con le vele.
Per alcuni generi il trasporto fluviale era gratis, per esempio i tronchi disboscati venivano fatti scendere sui fiumi e recuperati a valle; per altri generi quali cereali, vino, sale il trasporto fluviale era più sicuro e veloce, ma anche per gli uomini era più comodo, in quanto durante il tragitto in discesa potevano riposarsi.
I vantaggi della navigazione fluviale per i traffici ed il commercio erano così evidenti, che già dall’antichità era sorta una rete fluviale raccordata da canali artificiali; anche Carlo Magno cercò di costruirne uno, non andato a buon fine, ma, verso la fine del Medioevo, con l’enorme crescita dei traffici commerciali, ne furono costruiti moltissimi.
Il trasporto fluviale da sempre si era dimostrato più veloce, più comodo e proporzionalmente risultava più economico di quello via terra, anche perché non richiedeva grandi infrastrutture e grandi spese di manutenzione.
Questo tipo di viaggi non era privo di rischi in quanto bisognava fare attenzione alle rocce sommerse, al percorso che poteva variare, alla profondità spesso al limite, oltre ai disagi imposti dagli uomini, quali pedaggi, sbarramenti, dazi.
Per comprendere appieno l’importanza dei trasporti fluviali, prendiamo ad esempio i Vichinghi che, oltre ad aver devastato e saccheggiato molte città europee, fra cui Londra e Parigi, risalendo i fiumi che sfociano nel Baltico, si spinsero all’interno, e da qui, ridiscendendo i grandi corsi d’acqua russi Volga, Don, Dniepr si spinsero fino al porti del Mar Nero e del Caspio.
Navigazione marittima: quando la colonna di aria calda sull'Egeo e su Creta sale e dal Nord soffia aria fredda, si creano venti (gli etesi) che soffiano da nord e nord-ovest raggiungendo forza sei-sette (50-60 K/h); questi venti, sfruttati da millenni, d’estate spingevano verso Gerusalemme anche le navi dei pellegrini e dei crociati che s'imbarcavano da Marsiglia e dai porti italiani; a settembre e ottobre si poteva far ritorno affidandosi al caldo scirocco proveniente dal Sahara (da SE), che spesso soffiava per un mese intero.
Sull’Oceano Atlantico, Indiano e sul Mediterraneo in luglio spiravano gli alisei da SE, grazie ai quali le navi navigavano in poche settimane dal Nord-Africa all’India; in gennaio rifacevano all’inverso lo stesso percorso, spinti dal monsone nordorientale, che veniva usato in luglio anche per tornare velocemente dall'America in Europa.
Nel Mediterraneo erano particolarmente temute le tempeste invernali, infatti dall’equinozio di settembre fino a quello di marzo, viaggiare per mare non era considerato sicuro; chi voleva correre pochi rischi viaggiava durante altri sei mesi.
Nel Mediterraneo la navigazione invernale era ritenuta meno pericolosa che sul Mar del Nord e sull'Atlantico, perché qui le maree aumentavano la forza devastatrice delle tempeste; tuttavia nel Mar del Nord e nel Baltico la navigazione veniva sospesa solo da novembre a febbraio, in quanto le maree e le tempeste costituivano un grave rischio per gli uomini e le attrezzature.
Le navi dovevano essere riparate e revisionate dai danni provocati dal vento, dal mare e dal maltempo, e ciò veniva fatto nei rispettivi porti per lo più durante l'inverno, quando l'offerta di lavoro era bassa e di conseguenza anche le paghe.
La navigazione invernale era sconsigliata anche dal fatto che, quando il mare era battuto dalla tempesta, non era facile scendere a terra, e bisognava pernottare a bordo, cosa impensabile con le temperature glaciali e le frequenti precipitazioni.
Sul Mar del Nord e soprattutto sul Baltico l'inverno arriva spesso, nel vero senso della parola, da un giorno all'altro; ad accelerare il congelamento dei mari contribuivano le basse temperature, i mari poco profondi e la bassa concentrazione di sale nell’acqua.
Se mediamente la concentrazione salina si aggira intorno al trentacinque per mille, il Mare del Nord ed il Baltico rispettivamente ne hanno trenta e otto, fino ad arrivare all’uno nel golfo di Botnia, quindi tutti i porti che vi insistevano e quelli posti alla foce dei fiumi gelavano e per cinque o sei mesi si rimaneva bloccati.
Due erano le tipologie di imbarcazioni medievali, da ricondurre alle navi dell’antichità, e che si svilupparono in aree ben distinte: mediterranea e nordica; quelle del primo tipo venivano costruite partendo da un’ossatura interna, formata da una chiglia longitudinale e da una serie di ordinate trasversali sagomate, a cui veniva inchiodato il fasciame; nelle navi del tipo nordico, eredi dei drakkar vichinghi, invece, prima veniva assemblato il fasciame e poi venivano inseriti i rinforzi strutturali.
Una novità medievale, introdotta dagli arabi, fu la vela triangolare o latina (dalla contrazione di “alla trina”, cioè a tre angoli): il vantaggio principale di questa vela rispetto a quella quadra era che permetteva di navigare parzialmente contro vento.
Sin dall'antichità classica esistevano nel Mediterraneo due tipi di navi: la nave “lunga” e quella “tonda”; la nave lunga (galea) era destinata esclusivamente alla guerra: era infatti una nave veloce e manovrabile, lunga più di trenta metri, spinta soprattutto dai remi (anche se avevano una grande vela latina ausiliaria), aveva una poppa più arrotondata con remi laterali come timoni.
L'altro tipo di nave era quella tonda, destinata fondamentalmente al commercio: più corta, molto più tozza e panciuta, era spinta esclusivamente da una sola vela e richiedeva un equipaggio molto più ridotto.
Dopo l’XI secolo a questa imbarcazione vennero aggiunti il castello di prua, a base triangolare e sporgente, quello di poppa, raccordato allo scafo, ed altri due alberi (uno verso prua e uno verso poppa) più il bompresso (l'albero inclinato a prua); si aumentava così la superficie velica migliorando la velocità e la manovrabilità.
Dall’evoluzione della galea si sviluppò nel Mediterraneo un nuovo tipo di imbarcazione, denominato Cocca (30 m), che divenne la preferita per la maggior sicurezza che essa offriva nel navigare.
Questo modello poi si diffuse dal Mediterraneo al Baltico con il nome di Cogghe; quelle del Nord avevano il fasciame sovrapposto, mentre in quelle del Sud era liscio (a caravella).
Mentre la Galea, o la più grande Galeazza, rimasero invariate fino al XVIII secolo, alla fine del Medioevo fece la comparsa la Caracca a tre alberi, agile e manovrabile, molto spesso utilizzata come nave appoggio ai convogli di galee.
Fu proprio su queste navi (con bordi alti e vele quadre) che venne introdotto per la prima volta nel Mediterraneo il timone poppiero unico, sviluppato in modo indipendente nel Nord europeo, nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico.
Agli inizi del Millennio la navigazione marittima si svolgeva costeggiando la costa, vista la mancanza assoluta di strumenti che permettessero un minimo di sicurezza, si viaggiava su informazioni incerte tramandate oralmente, affidandosi all’esperienza del capitano della nave e all’aiuto di Dio.
Il trasporto marittimo di merci non solo era molto conveniente perché veniva stivata un’enorme quantità di carico, ma era molto più veloce, il che riduceva i rischi che la merce si deteriorasse, ma aveva anche i risvolti negativi in quanto si poteva incappare in furiose tempeste, bonaccia, secche, scogli e pirati; ammutinamenti, fame: la sicurezza del viaggio era riposta nelle mani di S. Nicola, potente patrono dei marinai.
Già con la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore si era posto il problema del trasporto dei cavalli via mare, ma divenne veramente rilevante con le crociate, quando se ne dovevano spostare a migliaia, pertanto si modificarono le navi, munendole di portelloni laterali che ne permettevano il facile accesso, e di strutture interne atte a proteggere gli animali dagli sballottamenti del viaggio.
Si trattava di gabbie dove i cavalli venivano imbragati e sospesi; se questo sistema evitava incidenti gravi, non giovava molto agli animali, in quanto al loro arrivo dovevano essere rieducati a muoversi sulle zampe, e a ripristinare le funzioni di tutti gli organi interni schiacciati per lungo tempo dal peso.
Un qualunque viaggiatore doveva mettere in conto una certa quantità di disagi che avrebbe incontrato durante il tragitto: il gemito ed il cigolio della struttura, il fruscio e l’odore penetrante dell’urina dei topi, il tanfo dell’acqua putrida, i vermi che nei lunghi tragitti si ritrovavano in tutti gli alimenti.
Si è finora parlato del viaggio come spostamento reale di persone (via acqua o via terra), ma per il mondo medievale il viaggio era anche e soprattutto un’esperienza simbolica, in quanto metafora della vita stessa: Si era in viaggio dalla nascita alla morte, dopo la quale si viaggiava verso l’eternità, si navigava all’interno della Chiesa, dalle acque tempestose del peccato fino al sicuro paradiso.
Nella mentalità e nella cultura medievale era sempre presente il riferimento ai viaggi, alla strada, all’arrivo ed alla partenza; moltissime sono le testimonianze di santi uomini di Chiesa o di laici che, nell’immaginario, percorsero le strade dell’inferno o del paradiso: uno per tutti Dante Alighieri, tanti esploratori e pionieri, pur viaggiando in mondi reali, li videro popolati da creature immaginarie.
VIAGGIARE NEL MEDIOEVO
- Veldriss
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