Giovanni da Pian del Carpine (Pian del Carpine, 1180 – Antivari, 1° agosto 1252) è stato un esploratore italiano.
Biografia
Insieme a Benedykt Polak, il cui nome latino è Benedictus Polonus, un francescano polacco, fu il primo europeo ad entrare alla corte del Gran Khan dell'impero mongolo, che, in quel periodo, era Güyük Khan, nipote di Gengis.
Fu uno tra i primi discepoli di Francesco d'Assisi. Ricoprì la carica di Ministro Provinciale in Germania nel 1228 ed in Spagna nel 1230.
Missione in Mongolia
Nel 1245, l'allora pontefice Innocenzo IV lo spedì in Mongolia per sondare un'alleanza allo scopo, poco velato, di una guerra contro i Turchi per la liberazione della Terra Santa, anche se c'è da dire che il contenuto della lettera (il Gran Khan viene trattato come un inferiore, dall'alto il Papa impone ai Mongoli di pentirsi dei loro peccati, di smetterla di sterminare cristiani e di battezzarsi) che il Papa diede a frate Giovanni non è di certo il più adatto per ricercare una alleanza.
Opere
Al ritorno dalla sua missione il frate Magionese scrisse un'opera: l'Historia Mongalorum, opera che parla delle abitudini (analizzate sempre cercando di dare elementi utili alla cattolicità sul come comportarsi contro i mongoli nel caso di uno scontro militare) di quella popolazione, e, grazie al prestigio acquisito, diventò vescovo di Antivari.
http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_d ... el_Carpine
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Historia Mongalorum
L'Historia Mongalorum, opera di frate Giovanni da Pian del Carpine, fu redatta in due edizioni (come ci dice lo stesso frate Giovanni nel capitolo 9). Si tratta di un eccezionale documento medievale.
Questo libro, al contrario della lettera di frate Guglielmo di Rubruck (altro eccezionale documento) inviata "all'eccellentissimo e cristianissimo sovrano Luigi" (citazione dal preambolo della lettera stessa), non può essere definito un libro di viaggio, ma è più propriamente un trattato. La sua struttura è rigida e ben delineata: la seconda edizione comprende 9 capitoli, di cui il nono aggiunto proprio in quest'ultima.
L'Historia Mongalorum è un trattato scritto in prima edizione da frate Giovanni durante il viaggio e poi risistemato con più calma (probabilmente durante il suo soggiorno a Roma), dando così vita alla seconda edizione. L'opera trae origine da un problema che l'Europa inizialmente sottovalutò, cioè il problema dei Mongoli, della loro forza e della loro capacità militare.
Il viaggio di frate Giovanni indicato in blu scuro.
Frate Giovanni parte nel 1245. Appena quattro anni prima i Mongoli avevano fatto tremare tutta l'Europa e "piangere" sovrani come Bela IV, il quale accusò il Papa di essere uno dei principali responsabili del proprio annientamento (Bela IV chiese aiuto ma né il Papa, né nessun altro si mosse per rispondere all'appello). È solo col 1245 che Papa Innocenzo IV decise di impegnarsi a risolvere il problema, ma di certo la lettera che per mano di frate Giovanni recapitò a Guyuk (Gran Khan dell'impero Mongolo dal 1246 al 1248) non si muoveva in questa direzione e la paura che i Tatari[1] volessero portare devastazioni in Europa era continuamente presente. Ed è proprio da questa paura che nasce la missione di frate Giovanni (francescano) e la realizzazione dell'opera, la quale è un ordinato insieme di avvertimenti, di considerazioni e riflessioni sul mondo mongolo analizzato sotto numerosi suoi aspetti (essenzialmente riconducibili ad una prospettiva di scontro militare).
A frate Giovanni stava a cuore soprattutto questo tema. Egli sapeva infatti che l'Europa non era in grado di sopportare un secondo attacco dei Mongoli (non era stata in grado di sopportare neanche il primo e si era salvata solo grazie alla morte del Gran Khan che portò tutti i possibili eredi a tornare velocemente alla capitale). Quando Guyuk gli propose di mandarlo a casa accompagnato da alcuni ambasciatori mongoli, il frate rifiutò per diversi motivi:
aveva paura che se i Mongoli avessero visto le discordie e le divisioni europee si sarebbero sentiti legittimati a intervenire
aveva paura che i Mongoli approfittassero dell'ambasceria per esplorare il territorio
aveva paura che gli ambasciatori rimanessero uccisi, perché le nostre genti sono arroganti e superbe, provocando così la reazione dei Mongoli
Il fatto che tutto il trattato sia orientato in funzione bellica è dimostrabile anche in paragrafi che a prima vista non hanno niente a che fare con la guerra (come nel primo paragrafo del secondo capitolo, quello sull'aspetto). Frate Giovanni spiega infatti al Papa come sono esteticamente i Mongoli, ma lo fa non per gusto della descrizione o per gusto della completezza, ma perché in caso di guerra si deve essere in grado, nel momento in cui si fanno dei prigionieri, di capire quali tra questi prigionieri sono Mongoli e quali sono invece persone appartenenti a popoli che i Mongoli hanno sottomesso e schiavizzato, obbligandoli ad andare in guerra. Questo riconoscimento è fondamentale per due motivi:
le persone di questi popoli sottomessi farebbero volentieri a meno di combattere per i Mongoli e sono propense a schierarsi con gli eserciti nemici dei Mongoli
ai Mongoli dei prigionieri non Mongoli non interessa niente, ma se una città riesce a prendere prigioniero qualche mongolo quella può ottenere come riscatto immense ricchezze o, se non si vogliono riscatti, quella città si potrebbe dire che si è assicurata pace e sicurezza per molto tempo. Questo perché i Mongoli si amano molto l'un l'altro e non si muovono mai per strade che danneggiano un loro compagno.
http://it.wikipedia.org/wiki/Historia_Mongalorum
Questo libro, al contrario della lettera di frate Guglielmo di Rubruck (altro eccezionale documento) inviata "all'eccellentissimo e cristianissimo sovrano Luigi" (citazione dal preambolo della lettera stessa), non può essere definito un libro di viaggio, ma è più propriamente un trattato. La sua struttura è rigida e ben delineata: la seconda edizione comprende 9 capitoli, di cui il nono aggiunto proprio in quest'ultima.
L'Historia Mongalorum è un trattato scritto in prima edizione da frate Giovanni durante il viaggio e poi risistemato con più calma (probabilmente durante il suo soggiorno a Roma), dando così vita alla seconda edizione. L'opera trae origine da un problema che l'Europa inizialmente sottovalutò, cioè il problema dei Mongoli, della loro forza e della loro capacità militare.
Il viaggio di frate Giovanni indicato in blu scuro.
Frate Giovanni parte nel 1245. Appena quattro anni prima i Mongoli avevano fatto tremare tutta l'Europa e "piangere" sovrani come Bela IV, il quale accusò il Papa di essere uno dei principali responsabili del proprio annientamento (Bela IV chiese aiuto ma né il Papa, né nessun altro si mosse per rispondere all'appello). È solo col 1245 che Papa Innocenzo IV decise di impegnarsi a risolvere il problema, ma di certo la lettera che per mano di frate Giovanni recapitò a Guyuk (Gran Khan dell'impero Mongolo dal 1246 al 1248) non si muoveva in questa direzione e la paura che i Tatari[1] volessero portare devastazioni in Europa era continuamente presente. Ed è proprio da questa paura che nasce la missione di frate Giovanni (francescano) e la realizzazione dell'opera, la quale è un ordinato insieme di avvertimenti, di considerazioni e riflessioni sul mondo mongolo analizzato sotto numerosi suoi aspetti (essenzialmente riconducibili ad una prospettiva di scontro militare).
A frate Giovanni stava a cuore soprattutto questo tema. Egli sapeva infatti che l'Europa non era in grado di sopportare un secondo attacco dei Mongoli (non era stata in grado di sopportare neanche il primo e si era salvata solo grazie alla morte del Gran Khan che portò tutti i possibili eredi a tornare velocemente alla capitale). Quando Guyuk gli propose di mandarlo a casa accompagnato da alcuni ambasciatori mongoli, il frate rifiutò per diversi motivi:
aveva paura che se i Mongoli avessero visto le discordie e le divisioni europee si sarebbero sentiti legittimati a intervenire
aveva paura che i Mongoli approfittassero dell'ambasceria per esplorare il territorio
aveva paura che gli ambasciatori rimanessero uccisi, perché le nostre genti sono arroganti e superbe, provocando così la reazione dei Mongoli
Il fatto che tutto il trattato sia orientato in funzione bellica è dimostrabile anche in paragrafi che a prima vista non hanno niente a che fare con la guerra (come nel primo paragrafo del secondo capitolo, quello sull'aspetto). Frate Giovanni spiega infatti al Papa come sono esteticamente i Mongoli, ma lo fa non per gusto della descrizione o per gusto della completezza, ma perché in caso di guerra si deve essere in grado, nel momento in cui si fanno dei prigionieri, di capire quali tra questi prigionieri sono Mongoli e quali sono invece persone appartenenti a popoli che i Mongoli hanno sottomesso e schiavizzato, obbligandoli ad andare in guerra. Questo riconoscimento è fondamentale per due motivi:
le persone di questi popoli sottomessi farebbero volentieri a meno di combattere per i Mongoli e sono propense a schierarsi con gli eserciti nemici dei Mongoli
ai Mongoli dei prigionieri non Mongoli non interessa niente, ma se una città riesce a prendere prigioniero qualche mongolo quella può ottenere come riscatto immense ricchezze o, se non si vogliono riscatti, quella città si potrebbe dire che si è assicurata pace e sicurezza per molto tempo. Questo perché i Mongoli si amano molto l'un l'altro e non si muovono mai per strade che danneggiano un loro compagno.
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Re: GLI ESPLORATORI
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ODORICO DA PORDENONE
ODORICO DA PORDENONE
Odorico da Pordenone, al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi (Villanova di Pordenone, 1265 – Udine, 14 gennaio 1331), è stato un presbitero e religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori, è stato beatificato nel 1755.
Entrato ancora adolescente nel convento di san Francesco, a Udine, dove fu ordinato sacerdote dell'ordine francescano (1290), si distinse per zelo, austerità e quel fervore missionario che lo porterà a lasciare il proprio paese per l'Asia Minore prima, ad incontrare poi i Mongoli, successivamente la Cina e l'India per tornare infine in patria e riferire al Papa sulla situazione delle missioni in Oriente. La sua opera di apostolato gli fece meritare il nome di "Apostolo dei Cinesi".
Verso il 1320 Odorico partì missionario per l’Oriente: attraverso durante il suo viaggio le città di Trebisonda, Erzurum, Homs e Baghdad. Giunto a Thane (che ora è un sobborgo di Bombay), Odorico classificò la popolazione come idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi; la città era stata però conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa. Odorico proseguì toccando Ceylon, Canton ed infine, dopo 8 anni di viaggio, raggiunse Pechino dove fu ospite dell’imperatore (allora la Cina era ancora sotto il dominio dei mongoli) per tre anni. Durnate il viaggio di ritorno visitò il Tibet e fu il primo europeo ad entrare nella sua capitale, Lhasa, di lì attraversò poi la Persia e l’Armenia.
Giunti a Trebisonda, Odorico e il suo comapagno, frate Giacomo, si imbarcarono su una nave veneziana, giunsero prima a Venezia e successivamente a Padova. Qui, nel maggio del 1330, su richiesta del suo superiore Guidotto, Odorico, ospite del monastero presso la Basilica di Sant'Antonio, dettò il resoconto del suo viaggio al frate Guglielmo di Solagna. Da lì Odorico, per adempire al compito affidatogli dal vescovo Giovanni da Montecorvino riprese il cammino per raggiungere la curia papale ad Avignone; l'itinerario prescelto prevedeva un viaggio via terra fino a Pisa, poi via mare fino a Marsiglia e quindi ad Avignone. Proprio mentre era diretto ad Avignone si ammalò e fece ritorno ad Udine dove morì.
La tomba di Odorico nella Chiesa del Carmine in Udine
Nella Biblioteca Riccardiana a Firenze si trova la sua relazione del viaggio nelle Indie. Odorico ci ha lasciato anche le sue memorie raccolte nell’Itinerarium Terrarum.
Fu proclamato beato da papa Benedetto XIV il 2 luglio 1755 e attualmente è in corso il processo di canonizzazione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Odorico_da_Pordenone
Odorico da Pordenone, al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi (Villanova di Pordenone, 1265 – Udine, 14 gennaio 1331), è stato un presbitero e religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori, è stato beatificato nel 1755.
Entrato ancora adolescente nel convento di san Francesco, a Udine, dove fu ordinato sacerdote dell'ordine francescano (1290), si distinse per zelo, austerità e quel fervore missionario che lo porterà a lasciare il proprio paese per l'Asia Minore prima, ad incontrare poi i Mongoli, successivamente la Cina e l'India per tornare infine in patria e riferire al Papa sulla situazione delle missioni in Oriente. La sua opera di apostolato gli fece meritare il nome di "Apostolo dei Cinesi".
Verso il 1320 Odorico partì missionario per l’Oriente: attraverso durante il suo viaggio le città di Trebisonda, Erzurum, Homs e Baghdad. Giunto a Thane (che ora è un sobborgo di Bombay), Odorico classificò la popolazione come idolatra, perché adoravano fuoco, serpenti ed alberi; la città era stata però conquistata di recente dai musulmani, i quali condizionavano la vita religiosa. Odorico proseguì toccando Ceylon, Canton ed infine, dopo 8 anni di viaggio, raggiunse Pechino dove fu ospite dell’imperatore (allora la Cina era ancora sotto il dominio dei mongoli) per tre anni. Durnate il viaggio di ritorno visitò il Tibet e fu il primo europeo ad entrare nella sua capitale, Lhasa, di lì attraversò poi la Persia e l’Armenia.
Giunti a Trebisonda, Odorico e il suo comapagno, frate Giacomo, si imbarcarono su una nave veneziana, giunsero prima a Venezia e successivamente a Padova. Qui, nel maggio del 1330, su richiesta del suo superiore Guidotto, Odorico, ospite del monastero presso la Basilica di Sant'Antonio, dettò il resoconto del suo viaggio al frate Guglielmo di Solagna. Da lì Odorico, per adempire al compito affidatogli dal vescovo Giovanni da Montecorvino riprese il cammino per raggiungere la curia papale ad Avignone; l'itinerario prescelto prevedeva un viaggio via terra fino a Pisa, poi via mare fino a Marsiglia e quindi ad Avignone. Proprio mentre era diretto ad Avignone si ammalò e fece ritorno ad Udine dove morì.
La tomba di Odorico nella Chiesa del Carmine in Udine
Nella Biblioteca Riccardiana a Firenze si trova la sua relazione del viaggio nelle Indie. Odorico ci ha lasciato anche le sue memorie raccolte nell’Itinerarium Terrarum.
Fu proclamato beato da papa Benedetto XIV il 2 luglio 1755 e attualmente è in corso il processo di canonizzazione.
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GUGLIELMO DA RUBRUCK
GUGLIELMO DA RUBRUCK
Guglielmo di Rubruck (Rubruck, 1220 ca. – 1293 ca) è stato un religioso fiammingo dell'Ordine dei Frati Minori. Il suo resoconto del viaggio in Asia è uno dei capolavori della letteratura geografica medioevale, al pari del Milione di Marco Polo.
Guglielmo accompagnò il re Luigi IX di Francia alla Settima Crociata nel 1248. Il 7 maggio 1253, su ordine personale di re Luigi, lasciò San Giovanni d'Acri per iniziare una missione con il fine di evangelizzare e convertire i Tartari. Con Guglielmo c'erano Bartolomeo da Cremona, un servo di nome Gosset ed un interprete che viene nominato come Homo Dei (letteralmente uomo di Dio, traduzione dell'arabo Abdullah).
Dopo aver raggiunto la città di Sudak in Crimea, Guglielmo dovette proseguire il viaggio su carri trainati da buoi.
Il viaggio di Guglielmo di Rubruck (1253-1255)
Al suo ritorno in patria Guglielmo presentò al re Luigi IX un vero e proprio rapporto preciso e dettagliato del viaggio dal titolo Itinerarium fratris Willielmi de Rubruquis de ordine fratrum Minorum, Galli, Anno gratia 1253 ad partes Orientales.
Nel suo resoconto descrisse le curiosità delle popolazioni mongole, correndandole da molte osservazioni geografiche: l'Itinerum fu il primo trattato che descriveva l'Asia centrale in maniera scientifica. Vi si possono trovare molte note di carattere antropologico e la sua meraviglia nel trovare una presenza così diffusa dell'Islam in aree così distanti.
Guglielmo fu inoltre il primo occidentale che dimostrò che si poteva raggiungere la Cina anche passando a nord del Mar Caspio, anche se tale via era sicuramente conosciuta dagli antichi esploratori scandinavi.
L'Itinerum è suddiviso in 40 capitoli. I primi dieci contengono osservazioni generali sui mongoli e sulle loro usanze e costumi. I restanti capitoli contengono un sommario delle principali vicende occorse durante il viaggio.
http://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_di_Rubruck
Guglielmo di Rubruck (Rubruck, 1220 ca. – 1293 ca) è stato un religioso fiammingo dell'Ordine dei Frati Minori. Il suo resoconto del viaggio in Asia è uno dei capolavori della letteratura geografica medioevale, al pari del Milione di Marco Polo.
Guglielmo accompagnò il re Luigi IX di Francia alla Settima Crociata nel 1248. Il 7 maggio 1253, su ordine personale di re Luigi, lasciò San Giovanni d'Acri per iniziare una missione con il fine di evangelizzare e convertire i Tartari. Con Guglielmo c'erano Bartolomeo da Cremona, un servo di nome Gosset ed un interprete che viene nominato come Homo Dei (letteralmente uomo di Dio, traduzione dell'arabo Abdullah).
Dopo aver raggiunto la città di Sudak in Crimea, Guglielmo dovette proseguire il viaggio su carri trainati da buoi.
Il viaggio di Guglielmo di Rubruck (1253-1255)
Al suo ritorno in patria Guglielmo presentò al re Luigi IX un vero e proprio rapporto preciso e dettagliato del viaggio dal titolo Itinerarium fratris Willielmi de Rubruquis de ordine fratrum Minorum, Galli, Anno gratia 1253 ad partes Orientales.
Nel suo resoconto descrisse le curiosità delle popolazioni mongole, correndandole da molte osservazioni geografiche: l'Itinerum fu il primo trattato che descriveva l'Asia centrale in maniera scientifica. Vi si possono trovare molte note di carattere antropologico e la sua meraviglia nel trovare una presenza così diffusa dell'Islam in aree così distanti.
Guglielmo fu inoltre il primo occidentale che dimostrò che si poteva raggiungere la Cina anche passando a nord del Mar Caspio, anche se tale via era sicuramente conosciuta dagli antichi esploratori scandinavi.
L'Itinerum è suddiviso in 40 capitoli. I primi dieci contengono osservazioni generali sui mongoli e sulle loro usanze e costumi. I restanti capitoli contengono un sommario delle principali vicende occorse durante il viaggio.
http://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_di_Rubruck
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MARCO POLO
Marco Polo (Venezia, 15 settembre 1254 – Venezia, 8 gennaio 1324) è stato un mercante, ambasciatore e viaggiatore italiano, appartenente al patriziato veneziano.
Insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo Polo, fu tra i primi occidentali ad arrivare fino in Cina, da lui chiamata Chatai, percorrendo la via della seta. Le cronache del suo viaggio sono state trascritte in francese dallo scrittore pisano Rustichello, suo compagno di prigionia a Genova. Furono raccolte in un libro intitolato Deuisament du monde, meglio noto come il Milione.
Biografia
Marco Polo, nato a Venezia il 15 settembre 1254, è considerato uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi.
Non è chiaro se tutti i membri della famiglia Polo del ramo detto Milion (forse da Emilione, nome di un antenato) appartenessero al patriziato veneziano (certamente lo furono Marco "il vecchio" e i suoi discendenti), certo è che l'estrazione sociale di Marco non era assolutamente umile, visto che le tre figlie, oltre che lui stesso, sposarono membri dell'aristocrazia. Il primo avo di cui si avrebbe notizia è un certo Andrea, abitante nella contrada di San Felice a Venezia; sarebbe il padre di Marco "il vecchio", Matteo (Maffio) e Niccolò Polo. Quest'ultimo - padre di Marco - era un ricco mercante che commerciava con l'Oriente assieme al fratello Matteo. I due attraversarono l'Asia nel 1255 e raggiunsero la Cina nel 1262, passando per Bukhara e il Turkestan cinese, arrivando a Khanbaliq (il nome mongolo dell'odierna Pechino, residenza di Kubilai Khan). Ripartirono nel 1266 arrivando a Roma nel 1269 come ambasciatori di Kubilai Khan, con una lettera da consegnare al Papa con la richiesta di mandare chierici istruiti a evangelizzare popolazioni mongole pagane. Il giovane Marco partì per la Cina insieme al padre Niccolò e allo zio Matteo nel 1271 e rimase in Estremo Oriente per circa diciassette anni, prima di tornare a Venezia.
Dopo il suo ritorno, Marco venne catturato e fatto prigioniero dai genovesi, probabilmente (ma non ci sono documenti) a seguito di una battaglia navale tra le repubbliche di Venezia e Genova. A Genova, in prigione, entrò in contatto con lo scrittore pisano Rustichello al quale raccontò le sue avventure che trascrisse in un libro successivamente conosciuto come il Milione. Marco Polo venne rilasciato dalle carceri genovesi nell'estate del 1299 e ritornò a Venezia, dove suo padre e suo zio avevano comprato una grande casa nel centro storico lagunare, in contrada San Giovanni Crisostomo, coi profitti derivanti dalla loro compagnia.
La società mercantile continuò l'attività e Marco diventò un mercante benestante. Finanziò altre spedizioni ma non lasciò più Venezia. Nel 1300 sposò Donata Badoer, appartenente a un'antica famiglia patrizia veneziana, dalla quale ebbe tre figlie: Fantina, Belella e Moreta, che poi si sposarono con appartenenti a famiglie patrizie.
Tra il 1310 e il 1320 cominciò a circolare una nuova versione del suo libro, Il Milione, ancora in francese. Francesco Pipino, un frate domenicano, lo tradusse in latino, ma negli stessi anni si diffusero versioni toscane e venete.
Marco Polo morì nella sua sontuosa casa veneziana l'8 gennaio del 1324 all'età di quasi settant'anni. Venne tumulato nella chiesa di San Lorenzo, ma le sue spoglie andarono perdute durante la ricostruzione dell'edificio, alla fine del Cinquecento.
Gli è stato dedicato un asteroide, 29457 Marcopolo.
Il viaggio
Niccolò e Matteo Polo intrapresero il loro secondo viaggio nel 1271, con la risposta di papa Gregorio X da consegnare al Kubilai Khan. Questa volta Niccolò portò con sé il figlio diciassettenne Marco. Viaggiarono verso l'interno, attraversando l'Anatolia e l'Armenia. Scesero quindi al Tigri, toccando probabilmente Mossul e Bagdad. Giunsero fino al porto di Ormuz, forse con l'intenzione di proseguire il viaggio via mare. Continuarono invece a seguire la via terrestre e, attraverso la Persia e il Khorasan, raggiunsero Balkh e il Badakhshan. Superarono, in quaranta giorni, il Pamir e scesero verso il bacino del Tarim. Attraverso il deserto dei Gobi giunsero ai confini del Catai, nel Tangut, la provincia più occidentale della Cina. Quindi proseguirono lungo la parte settentrionale dell'ansa del Fiume Giallo, arrivando infine a Khanbaliq, dopo un viaggio durato tre anni e mezzo.
Una volta arrivato nel Catai, Marco ottenne subito i favori del Kubilai Khan, al punto che divenne suo consigliere e successivamente suo ambasciatore. Kubilai Khan, infatti, iniziò ad assegnargli delle missioni (come quella a Sayangfu) e mostrò a lui e alla sua famiglia degli spettacoli come la sfilata dei 10.000 elefanti.
Solo dopo 17 anni Marco Polo ripartì per Venezia. Durante il viaggio accompagnò la principessa Kocacin, nipote del Kubilai Khan, dal re di Persia che lei avrebbe dovuto sposare. Al ritorno a Venezia soltanto la nonna di Marco lo riconobbe e decise di organizzare una festa in onore suo e di Matteo e Niccolò Polo. I vicini di casa non riuscivano a credere che i tre Polo fossero tornati dal lontano Oriente, ma si ricredettero quando i Polo fecero loro vedere i preziosi che avevano dentro i loro abiti.
Il Milione
« Egli è vero che al tempo che Baldovino era imperadore di Gostantinopoli - ciò fu ne gli anni di Cristo 1251 -, messere Niccolaio Polo, lo quale fu padre di messere Marco, e messere Matteo Polo suo fratello, questi due fratelli erano nella città di Gostantinopoli venuti da Vinegia con mercatantia, li quali erano nobili e savi sanza fallo. Dissono fra loro e ordinorono di volere passare lo Gran Mare per guadagnare, e andarono comperando molte gioie per portare, e partironsi in su una nave di Costantinopoli e andarono in Soldania. »
(Marco Polo (secondo capitolo del Milione ))
Il Milione è un'opera saggistico-biografica che narra dei viaggi di Marco Polo. Al suo ritorno dalla Cina nel 1295, la famiglia Polo si sistemò nuovamente a Venezia, dove attiravano folle di persone con i loro racconti incredibili, tanto che qualcuno ebbe difficoltà a credere che fossero stati davvero nella lontana Cina.
L'animo avventuriero di Marco Polo lo portò a partecipare nel 1298 alla Battaglia di Curzola[senza fonte] combattuta dalla Repubblica di Genova contro la Repubblica di Venezia, ma venne catturato e tenuto prigioniero per alcuni mesi. In questo periodo dettò in lingua d'oïl a Rustichello da Pisa (anch'egli prigioniero dei genovesi) Le deuisament du monde, un racconto dei suoi viaggi nell'allora sconosciuto Estremo Oriente, poi conosciuto anche come Il Milione.
Il titolo Il Milione deriva da un soprannome dell'autore, per aver usato più volte questa parola nel descrivere la quantità di beni amministrata dal Kublai Khan. Del tutto priva di fondamento e prove è la teoria che vuole il titolo postumo del suo libro, Il Milione, derivato da un soprannome di famiglia, "Emilione" (nome di un antenato di Marco Polo), divenuto per aferesi Milione.
In seguito il libro fu rimaneggiato da autori francesi, i quali apportarono delle correzioni personali e modifiche linguistiche sia durante sia dopo il periodo del Rinascimento, aggiungendo icone e qualche pittura miniaturizzata che se da una parte servivano ad abbellire l'opera rendendola più gradevole, dall'altra lo impoverivano sul piano della scoperta facendolo passare per uno scritto denso di fantasticherie e relativo a un mondo inesistente o immaginario.
Solo durante il periodo dell'Illuminismo si tenderà a rivalutare il testo più antico e fedele al vero Milione e a dargli il posto che merita nella storia delle esplorazioni.
Controversie
Francis Wood, all'epoca direttrice del Dipartimento cinese della British Library, nel 1995 ha pubblicato il libro Marco Polo è andato in Cina?, nel quale contraddiceva la tradizione secondo la quale Marco Polo fosse giunto in Estremo Oriente. Secondo la tesi della scrittice britannica, il noto viaggiatore veneziano, non sarebbe mai andato oltre il Mar Nero, dove la sua famiglia conduceva l'attività mercantile. Descrizione del Mondo, il nome con cui era conosciuto Il Milione in principio, il libro che avrebbe dettato a Rustichello da Pisa, non sarebbe altro che una reinterpretazione delle cronache di altri viaggiatori. Il dubbio nascerebbe in quanto Marco Polo nel suo libro, tra le varie incongruenze, non avrebbe affrontato alcune questioni, che, a parere dell'autrice, non potevano non essere menzionate, quali la Grande Muraglia, la tradizione del tè, l'uso delle bacchette per mangiare, per non parlare della mancata presenza del viaggiatore italiano negli archivi ufficiali cinesi dell'epoca.
In realtà l'idea che Marco Polo non fosse realmente mai giunto in Cina non era del tutto nuova, e circolava da tempo in diversi ambienti accademici e non. Le idee di Francis Wood sono state, tuttavia, analizzate e confutate da diversi storici, che hanno messo in risalto diversi errori interpretativi e di contestualizzazione da parte dell'autrice britannica degli avvenimenti narrati da Polo, i quali, salvo alcune imprecisioni dovute probabilmente a dimenticanze del mercante, a licenze artistiche di Rustichello e disattenzioni di innumerevoli copisti che riprodussero il libro nel 1300, sono storicamente coerenti con le fonti cinesi contemporanee.
Inoltre esiste una prova inconfutabile del viaggio: sappiamo di una conversazione di Marco Polo avvenuta nel 1303 con il celebre fisico e astrologo Pietro D'Abano, nella quale il veneziano fece alcune osservazioni astronomiche, illustrandole con degli schizzi. Di questa conversazione non v'è traccia nel Milione, eppure è riportata nel Conciliator Differentiarum scritto dallo scienziato. Uno studioso tedesco, J. Jensen, ha pubblicato un articolo nel 1997, in cui, analizzato questo testo, ha scoperto che Marco Polo necessariamente doveva essere andato a Sumatra e nel Mar Cinese Meridionale per essere a conoscenza di questi dettagli, fino ad allora sconosciuti agli studiosi occidentali.
L'isola di Curzola, un tempo sotto il dominio veneziano oggi in Croazia, viene da talune fonti[8] indicata come possibile luogo natale di Marco Polo. La circostanza viene presentata come autentica da molte fonti croate (ma considerata falsa o solo ipotetica dagli storici). Anche l'ufficio turistico croato ha basato una controversa campagna pubblicitaria sullo slogan "Croazia, patria di Marco Polo", nella quale si afferma come certo che Polo sarebbe nato nel Regno di Croazia.
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Niccolò Polo
Niccolò Polo (Venezia, fl. 1252 – Venezia, 1294) è stato un mercante ed esploratore italiano, padre di Marco Polo, il noto esploratore veneziano. Prima della nascita di Marco, divenne mercante, e assieme al fratello Matteo si stabilì a Costantinopoli dove impiantò una vasta attività commerciale poi estesa anche a Sudak in Crimea e nella parte occidentale dell'Impero mongolo. Essi fecero un viaggio in quella che è la moderna Cina e quindi tornarono provvisoriamente in Europa latori di un messaggio per il Papa da parte dell'imperatore della Cina. Ripartiti assieme al figlio Marco, i Polo fecero un altro viaggio in Oriente, così come narrato nel libro Il Milione.
Biografia
Primo viaggio
Lasciando il figlio Marco bambino a Venezia, Niccolò ed fratello Matteo partirono per Costantinopoli dove risiedettero per diversi anni. Essi potettero condurre i loro commerci godendo delle facilitazioni, politiche e fiscali, concesse loro per il contributo dato, dalla Repubblica di Venezia, alla conquista di Costantinopoli nel corso della IV Crociata del 1204. Comunque, ritendo che la situazione politica della città era divenuta precaria, decisero di trasferire i loro affari a Soldaia, città della Crimea, e lasciarono Costantinopoli nel 1259 o 1260. La loro decisione si dimostrò saggia. Costantinopoli venne riconquistata nel 1261 da Michele Palaeologo, regnante dell'Impero di Nicea, che distrusse il quartiere veneziano. I veneziani catturati vennero accecati, mentre molti di quelli che tentarono la fuga perirono sulle imbarcazioni sovraccariche che tentavano di dirigersi verso le altre colonie veneziane del Mar Egeo.
La loro nuova residenza, sul bordo nord del Mar Nero, Soldaia, era stata frequentata da commercianti veneziani dal XII secolo. Quando i Polo vi giunsero, faceva parte del nuovo stato mongolo noto come Khanato dell'Orda d'Oro. Alla ricerca di migliori profitti, i Polo continuarono il loro viaggio verso Saraj, dove si trovava la corte di Berke Khan, il sovrano del Khanato dell'Orda d'Oro. A quel tempo, la città di Saraj non era altro che un enorme accampamento e i Polo vi rimasero per circa un anno. Alla fine, decisero di lasciare la Crimea, a causa di una guerra civile tra Berke e suo cugino Hulagu o forse a causa del cattivo rapporto tra Berke Khan e l'Impero bizantino. Pertanto si trasferirono più a est a Bukhara, nell'attuale Uzbekistan, dove rimasero per tre anni.
Nel 1264, Niccolò e Matteo si unirono ad un'ambasciata inviata da Hulagu al fratello Kublai Khan. Nel 1266, raggiunsero la sede del Kublai Khan a Khanbaliq, oggi Pechino in Cina. Nel suo libro, Il Milione, Marco spiega come Kublai Khan ricevette ufficialmente i Polo e li mandò indietro, con un mongolo di nome Koeketei, come ambasciatori presso il Papa. Portavano con sé una lettera del Khan con la richiesta dell'invio di cento missionari istruiti che potessero insegnare il cristianesimo ed i costumi occidentali al suo popolo e olio della lampada del Santo Sepolcro. La lettera conteneva anche una paiza, una tavoletta d'oro lunga 30 cm e larga 7, che autorizzava il titolare a richiedere ed ottenere l'alloggio, i cavalli e il cibo in tutto il dominio del Kublai Khan. Koeketei si dileguò nel bel mezzo del viaggio, lasciando i Polo a viaggiare da soli a Ayas nel Regno armeno di Cilicia. Da quella città portuale, salparono verso San Giovanni d'Acri, capitale del Regno di Gerusalemme.
La lunga sede vacante fra la morte di Papa Clemente IV, nel 1268, e l'elezione del nuovo papa nel 1271 ritardò il tentantivo dei Polo di adempiere alla richiesta di Kublai Kan. Su suggerimento di Teobaldo Visconti, allora legato papale presso il reame d'Egitto, ad Acri per la IX Crociata, i due fratelli tornarono a Venezia nel 1269 o 1270, in attesa dell'elezione del nuovo papa. Qui Niccolò rivide suo figlio Marco, allora quindicenne o sedicenne, che era vissuto con i suoi zii dopo la morte della madre quando egli era ancora in tenera età.
Secondo viaggio
Appena eletto, nel 1271, Papa Gregorio X (l'ex Teobaldo Visconti) ricevette il messaggio del Kublai Khan, consegnatogli da Niccòlo e Matteo. Kublai Khan richiedeva l'invio di cento missionari e olio della lampada di Gerusalemme. I due Polo (questa volta accompagnati dal diciassettenne Marco) tornarono in Mongolia, accompagnati da due monaci domenicani, Niccolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli. I due frati però non terminarono il viaggio a causa della loro paura, ma i Polo raggiunsero Kanbaliq e consegnarono a Kublai i regali da parte del Papa nel 1274.[5] Si dice che i Polo abbiano percorso la Via della seta a nord sebbene altri sostengono la tesi di un percorso a sud.[6] I Polo trascorsero i succesivi diciassette anni in Cina. Kublai Khan prese in simpatia Marco, che era un narratore coinvolgente, e lo inviò in molte missioni diplomatiche in tutto il suo impero. Marco svolse incarichi diplomatici, ma intrattenne il khan con storie interessanti e osservazioni sulle terre da lui percorse. Secondo il racconto di viaggio di Marco, i Polo chiesero più volte il permesso di tornare in Europa, ma il Khan apprezzava così tanto i suoi ospiti che non fu d'accordo alla loro partenza.
Nel 1291 Kublai affidò a Marco il suo ultimo compito, scortare la principessa mongola Koekecin ( Cocacin ne Il Milione) alla dimora del suo fidanzato, l'Ilkhan Arghun. Il convoglio viaggiò per mare, con partenza dal porto della città meridionale di Quanzhou e fece vela per Sumatra, e poi per la Persia, via Sri Lanka e India (passando per Mylapore, Madurai e Alappuzha, da lui soprannominata Venezia d'Oriente). Nel 1293 o 1294 i Polo raggiunsero l'Ilkhanato, governato da Gaykhatu dopo la morte di Argun, e lasciarono Koekecin con il nuovo Ilkhan. Partirono quindi per Trebisonda e da quella città si imbarcarono per Venezia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Niccol%C3%B2_Polo
Biografia
Primo viaggio
Lasciando il figlio Marco bambino a Venezia, Niccolò ed fratello Matteo partirono per Costantinopoli dove risiedettero per diversi anni. Essi potettero condurre i loro commerci godendo delle facilitazioni, politiche e fiscali, concesse loro per il contributo dato, dalla Repubblica di Venezia, alla conquista di Costantinopoli nel corso della IV Crociata del 1204. Comunque, ritendo che la situazione politica della città era divenuta precaria, decisero di trasferire i loro affari a Soldaia, città della Crimea, e lasciarono Costantinopoli nel 1259 o 1260. La loro decisione si dimostrò saggia. Costantinopoli venne riconquistata nel 1261 da Michele Palaeologo, regnante dell'Impero di Nicea, che distrusse il quartiere veneziano. I veneziani catturati vennero accecati, mentre molti di quelli che tentarono la fuga perirono sulle imbarcazioni sovraccariche che tentavano di dirigersi verso le altre colonie veneziane del Mar Egeo.
La loro nuova residenza, sul bordo nord del Mar Nero, Soldaia, era stata frequentata da commercianti veneziani dal XII secolo. Quando i Polo vi giunsero, faceva parte del nuovo stato mongolo noto come Khanato dell'Orda d'Oro. Alla ricerca di migliori profitti, i Polo continuarono il loro viaggio verso Saraj, dove si trovava la corte di Berke Khan, il sovrano del Khanato dell'Orda d'Oro. A quel tempo, la città di Saraj non era altro che un enorme accampamento e i Polo vi rimasero per circa un anno. Alla fine, decisero di lasciare la Crimea, a causa di una guerra civile tra Berke e suo cugino Hulagu o forse a causa del cattivo rapporto tra Berke Khan e l'Impero bizantino. Pertanto si trasferirono più a est a Bukhara, nell'attuale Uzbekistan, dove rimasero per tre anni.
Nel 1264, Niccolò e Matteo si unirono ad un'ambasciata inviata da Hulagu al fratello Kublai Khan. Nel 1266, raggiunsero la sede del Kublai Khan a Khanbaliq, oggi Pechino in Cina. Nel suo libro, Il Milione, Marco spiega come Kublai Khan ricevette ufficialmente i Polo e li mandò indietro, con un mongolo di nome Koeketei, come ambasciatori presso il Papa. Portavano con sé una lettera del Khan con la richiesta dell'invio di cento missionari istruiti che potessero insegnare il cristianesimo ed i costumi occidentali al suo popolo e olio della lampada del Santo Sepolcro. La lettera conteneva anche una paiza, una tavoletta d'oro lunga 30 cm e larga 7, che autorizzava il titolare a richiedere ed ottenere l'alloggio, i cavalli e il cibo in tutto il dominio del Kublai Khan. Koeketei si dileguò nel bel mezzo del viaggio, lasciando i Polo a viaggiare da soli a Ayas nel Regno armeno di Cilicia. Da quella città portuale, salparono verso San Giovanni d'Acri, capitale del Regno di Gerusalemme.
La lunga sede vacante fra la morte di Papa Clemente IV, nel 1268, e l'elezione del nuovo papa nel 1271 ritardò il tentantivo dei Polo di adempiere alla richiesta di Kublai Kan. Su suggerimento di Teobaldo Visconti, allora legato papale presso il reame d'Egitto, ad Acri per la IX Crociata, i due fratelli tornarono a Venezia nel 1269 o 1270, in attesa dell'elezione del nuovo papa. Qui Niccolò rivide suo figlio Marco, allora quindicenne o sedicenne, che era vissuto con i suoi zii dopo la morte della madre quando egli era ancora in tenera età.
Secondo viaggio
Appena eletto, nel 1271, Papa Gregorio X (l'ex Teobaldo Visconti) ricevette il messaggio del Kublai Khan, consegnatogli da Niccòlo e Matteo. Kublai Khan richiedeva l'invio di cento missionari e olio della lampada di Gerusalemme. I due Polo (questa volta accompagnati dal diciassettenne Marco) tornarono in Mongolia, accompagnati da due monaci domenicani, Niccolò da Vicenza e Guglielmo da Tripoli. I due frati però non terminarono il viaggio a causa della loro paura, ma i Polo raggiunsero Kanbaliq e consegnarono a Kublai i regali da parte del Papa nel 1274.[5] Si dice che i Polo abbiano percorso la Via della seta a nord sebbene altri sostengono la tesi di un percorso a sud.[6] I Polo trascorsero i succesivi diciassette anni in Cina. Kublai Khan prese in simpatia Marco, che era un narratore coinvolgente, e lo inviò in molte missioni diplomatiche in tutto il suo impero. Marco svolse incarichi diplomatici, ma intrattenne il khan con storie interessanti e osservazioni sulle terre da lui percorse. Secondo il racconto di viaggio di Marco, i Polo chiesero più volte il permesso di tornare in Europa, ma il Khan apprezzava così tanto i suoi ospiti che non fu d'accordo alla loro partenza.
Nel 1291 Kublai affidò a Marco il suo ultimo compito, scortare la principessa mongola Koekecin ( Cocacin ne Il Milione) alla dimora del suo fidanzato, l'Ilkhan Arghun. Il convoglio viaggiò per mare, con partenza dal porto della città meridionale di Quanzhou e fece vela per Sumatra, e poi per la Persia, via Sri Lanka e India (passando per Mylapore, Madurai e Alappuzha, da lui soprannominata Venezia d'Oriente). Nel 1293 o 1294 i Polo raggiunsero l'Ilkhanato, governato da Gaykhatu dopo la morte di Argun, e lasciarono Koekecin con il nuovo Ilkhan. Partirono quindi per Trebisonda e da quella città si imbarcarono per Venezia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Niccol%C3%B2_Polo