L’arte del playtest

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L’arte del playtest

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Riporto qui l'articolo scritto da Walter “Plautus” Nuccio, l'originale è qui: http://www.gioconauta.it/2014/03/l-arte ... t-parte-1/

L’arte del playtest – Parte 1

Il titolo di quest’articolo è in realtà una provocazione: in una disciplina come il game design, che pure può essere vista sotto diversi aspetti come una forma d’arte, le attività di playtest dovrebbero rappresentare la parte più scientifica e tecnica dell’intero processo. In altri termini il playtest, inteso come quel procedimento che consiste nello stimolare il sistema di gioco al fine di verificarne il corretto funzionamento, dovrebbe essere meno “artistico” e più standardizzato e indipendente dal gusto e dall’iniziativa individuali, rispetto ad altre fasi del processo di creazione. Ma la realtà è differente, e spesso il playtest viene affrontato con un approccio un po’ approssimativo, senza avere ben chiaro cosa si vuole ottenere da esso. Ci chiediamo quindi: è possibile perfezionare questa importante parte del processo di design, individuando degli oggettivi principii che servano da riferimento?

Il playtest come formula magica
Una delle esortazioni maggiormente ricorrenti quando si parla di game design è “playtestare, playtestare, playtestare”. E’ un vero proprio mantra, una formula rituale, qualcosa che, nelle intenzioni di chi la recita, dovrebbe risolvere automaticamente tutti i problemi, come per magia. C’è da bilanciare una carta? Bisogna playtestare. Il gioco non funziona a dovere? Ancora playtest. Non si sa se una meccanica possa funzionare o meno? Playtest, plyatest, e ancora playtest.

Personalmente rimango sempre molto scettico quando sento frasi come queste, ripetute fino allo sfinimento, perché mi sembra che alla lunga finiscano con lo svuotarsi di significato e facciano perdere di vista il nocciolo del problema. Non voglio con ciò negare il valore intrinseco del playtest: è indispensabile provare sul campo tutto ciò che sembra funzionare nella propria mente ma che potrebbe rivelarsi fallace alla prima sperimentazione pratica. Tuttavia il playtest, così come a volte viene inteso, non è affatto sufficiente: playtestare mille volte un gioco non necessariamente lo renderà migliore; provare decine di volte una meccanica, cambiando qualcosa ogni volta ma procedendo a tentoni, a seconda dei suggerimenti che di volta in volta vi verranno offerti (generosamente) dalle persone cui avrete sottoposto il vostro prototipo, non vi garantirà sempre risultati soddisfacenti. Il motivo di ciò è semplice: spesso non è chiaro, all’inizio di una seduta di playtest, qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere e cosa occorre fare per muoversi effettivamente in quella direzione.

Il playtest in solitario
through the agesQual è, dunque, lo scopo di un playtest? La risposta a questa domanda dipende molto dallo stadio in cui si trova il progetto. Partiamo col dire che se l’autore è alla prima prova assoluta, c’è una discreta probabilità che dell’intero gioco non funzioni quasi nulla (ciò dipende molto, in effetti, dal grado di esperienza dell’autore). In questa prima fase l’obiettivo del playtest è quello di arrivare ad un sistema “giocabile”, cioè ad un corpo di regole che consenta, a chi si siede attorno ad un tavolo, di giocare una partita completa dal principio alla fine. Attenzione: questo non vuol dire che il gioco deve essere perfettamente funzionante, sarebbe un controsenso: è naturale che vi siano sbilanciamenti, scelte non del tutto sensate o altri difetti più o meno evidenti, ma è indispensabile che almeno la meccanica principale del gioco regga quel tanto che occorre affinché i giocatori possano eseguire le loro mosse senza che si rendano necessarie continue e ripetute interruzioni e correzioni al volo.

Per raggiungere questo risultato è decisamente consigliabile eseguire le prime prove in solitario, senza coinvolgere altre persone. Anche questo, infatti, è playtest a tutti gli effetti!

Playtestare in solitario ha diversi vantaggi: in primo luogo è un tipo di test che può essere eseguito ogni volta che se ne ha bisogno; in secondo luogo non necessita di un prototipo accurato: è sufficiente una componentistica davvero minimale dato che l’autore ha già in mente tutte le regole e il significato dei vari elementi del gioco; infine, e questo è l’aspetto più importante, permette di evidenziare subito quegli errori grossolani che comprometterebbero fin dall’inizio lo svolgimento di una partita reale. Perché, dunque, sottoporre i poveri playtester ad una frustrante e noiosa performance, fatta di tentativi di mettere a punto qualcosa che, evidentemente, non sta in piedi? L’autore può tranquillamente svolgere da solo questa prima parte del lavoro!

Dal solitario al gruppo
Quando il sistema di gioco ha raggiunto un discreto grado di sviluppo, è il momento di sottoporlo ad un playtest di gruppo. E qui entrano in gioco una serie di problematiche e di aspetti che si possono, tutto sommato, riassumere in due fondamentali domande: cosa si aspettano i playtester, dall’autore del gioco? E cosa può aspettarsi, invece, l’autore dai playtester?

playtestAlla prima domanda abbiamo già dato una implicita risposta: l’autore dovrebbe portare al tavolo un sistema di gioco che abbia un minimo di solidità; non sarà necessario terminare la partita a tutti i costi, ma il sistema proposto dovrà essere ad uno stadio di sviluppo tale da risultare maturo per un’analisi più dettagliata; in tal caso diventa infatti indispensabile un supporto da parte di persone non direttamente coinvolte nello sviluppo del gioco. Vale la pena di aggiungere che il prototipo dovrà essere di qualità adeguata. Questo non vuol dire che il prototipo debba essere “bello”; al contrario, è perfettamente inutile concentrarsi sulla elaborazione grafica di qualcosa che dovrà essere cambiato ancora molte volte; è importante invece che il prototipo sia funzionale, ovvero che comunichi con chiarezza ai giocatori tutti gli elementi significativi. Per fare un esempio, una carta da gioco dal layout estremamente semplice, con sfondo bianco e un costo in risorse riportato con chiarezza sulla sommità, è decisamente preferibile rispetto ad una carta con una meravigliosa immagine di sfondo ma sulla quale le caratteristiche rilevanti (costi, punti vittoria, eccetera) sono praticamente illeggibili.

Veniamo ora alla seconda domanda: cosa è lecito, per l’autore, aspettarsi dai playtester? Prima di dare una risposta, possiamo azzardare un’ analogia con quanto accade nel campo dello sviluppo software.

Analogie nel mondo del software
Al pari di un gioco da tavolo, un software viene sottoposto a numerosi test prima di diventare operativo. Ma un’importante differenza che possiamo osservare nei due casi è che in ambito informatico si distinguono due diverse attività: il testing vero e proprio, il cui obiettivo è “individuare i difetti e i malfunzionamenti”, e il debugging, che consiste nell’intervenire sul software, modificandolo, per rimuovere i bug, cioè i difetti che il testing ha portato alla luce. Questa distinzione mette in luce che esistono due diversi ruoli: quello del tester, che ha il compito di stressare il sistema il più possibile, in modo da far emergere anche i problemi più nascosti, e quello del debugger (che normalmente coincide col programmatore del software), cui spetta invece l’onere di trovare una soluzione al problema individuato.

Se trasferiamo questo ragionamento ai giochi da tavolo, potremmo dire che la funzione dei playtester è soprattutto quella di individuare i difetti del sistema di gioco, mentre correggerli è compito dell’autore. Cosa accade, invece, nella pratica? Che spesso playtesting e debbuging tendono a confondersi e a sovrapporsi. Ecco quindi che un autore, nel momento in cui mostra il suo prototipo a dei playtester non troppo esperti, si ritrova in breve sommerso di consigli non richiesti: “modifica questa carta!” dirà uno; “perché non aggiungi degli eventi casuali?” dirà un altro; “ma qui dovresti mettere una meccanica di guerra!” dirà un altro ancora.

Tutto ciò fa un po’ sorridere: come davanti ad una partita di calcio, in cui gli spettatori diventano improvvisamente allenatori esperti, convinti che saprebbero fare molto meglio al posto dell’”incompetente” di turno, così alcuni intraprendenti giocatori da tavolo, che pure non hanno mai neppure provato a realizzare un gioco di loro iniziativa, diventano improvvisamente prodighi di consigli.

Ora intendiamoci: non è che questo sia necessariamente un male. E’ anche comprensibile, tutto sommato, che le persone si sentano partecipi al punto da pensare di potersi sostituire all’autore. E qualche volta può darsi che emerga effettivamente qualche suggerimento interessante. Sono convinto, però, che in linea generale questo non sia il modo più proficuo di procedere, o per lo meno che non lo sia sempre. Qual è, a mio avviso, il massimo beneficio che un buon playtester può fornire all’autore? Quello di evidenziare i problemi con la maggiore accuratezza possibile. Per capire la differenza tra i due approcci, dovremo fare un esempio, ma questo lo vedremo nella seconda parte dell’articolo.
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Re: L’ arte del playtest

Messaggio da leggere da Veldriss »

E qui riporto la risposta di Mirko Biasion (un utente di FB) che mi è piaciuta molto:
originale qui, primo commento: https://www.facebook.com/groups/9443659 ... p_activity
Mirko Biasion ha scritto:concordo appieno con quest'articolo (la seconda parte è già stata scritta? :)
a me è capitato che il più delle volte, nei playtest, i giocatori attendessero l'occasione famelici per cercare di "distruggere" e "rivoluzionare" il gioco: in pochi (e fai conto il nostro gioco si gioca anche in 6, moltiplicalo per le varie sessioni di playtest) realmente volevano dare feedback "utili", ovvero delle indicazioni sulle meccaniche fallaci, su quali fossero le scelte che non funzionavano o che diventavano talora "impossibili" o "scelte-non-scelte", et similia;
invece, ho notato quasi sempre una forte componente psicologica, da parte dei giocatori, che li spingeva al voler o denigrare la posizione dell'autore, o volersi sostituire ad esso, come accenni anche tu nell'articolo, quasi come fossero un po' infastiditi di "non averlo fatto loro il gioco". E quindi la conseguenza ricade nel tentativo più o meno inconscio di voler plasmare il gioco pensato dall'autore secondo i loro gusti personali: ecco allora che arrivano spesso o critiche pesanti che stroncano totalmente il gioco, oppure qualcosa posto in forma di "consiglio" che in realtà, nei toni in cui è espresso, solitamente è in realtà una sorta di velata "imposizione", del tipo "o lo fai come dico io, allora è una figata, oppure qualsiasi altro modo in cui lo fai è "nammaerd" (detto in dialetto dl Valhalla :) )".

con il nostro Scendincampo - Corri la tua Campagna Elettorale è successo così, ad esempio. (ps vi invito a mettere il "mi piace" alla pagina ;) eheh )

integrando questa disquisizione, vi dico ad esempio che molto è dipeso dalla tipologia del playtester, che cambia TANTISSIMO il risultato finale, poiché muovono da presupposti e gusti e competenze diverse (cosa che non mi sorprende, lavorando come marketing project manager nei vari panel di sondaggio ne ho visti di tutti i colori).

se qualcuno fosse curioso, vi posto un po' di esempi di profilo della gente che abbiamo incontrato nel nostro percorso di playtesting e le loro reazioni al gioco, da un punto di vista "a prescindere" delle caratteristiche del gioco stesso: (lo chiamerò "feedback psicologico", FP):

- il visitatore di fiera adulto con figlio al seguito, del tutto inesperto di giochi da tavolo (se non i classici):

FP: entusiasta, calamitato dal fatto che dei concittadini fossero così intraprendenti dall'aver inventato un gioco, e dall'ambientazione che è in effetti dedicata un po' più ai casual players: il gioco era per lui perfetto, avrebbe voluto rigiocarlo, e se non fosse stato prototipo ci aveva già offerto soldi per comprarcelo xché voleva giocarci con gli amici di famiglia.

- il giocatore hardcore volenteroso di aiutare:

FP: forse il più interessante ed utile: si informa sul perché delle meccaniche, cercava di capirne il funzionamento, e segnalava laddove le meccaniche stridevano, come appunto scelte-non-scelte, condizioni non gestite o impossibili etc.. Talvolta proponeva idee per la risoluzione ma sempre ponendole come un "facendo così, ti tornerebbe?".

- il giocatore hardcore pretenzioso:

FP: uno dei più fastidiosi: per questi, il gioco anche se prototipo ed in playtest è fatto "per la loro soddisfazione": si limita a lamentarsi che il gioco non è abbastanza bello come il Trono di Spade, non è abbastanza affascinante come Puerto Rico, non è abbastanza lungo come Eclipse. Si lamenta che non sta vincendo, e spesso si lamenta anche se il gioco non gli permette un ruolo sufficientemente attivo. alla richiesta di compilare un questionario si rifiuta perché "non tollera di aver fatto da tester", benché sapesse che si trattava di un playtest.

- il giocatore / intenditore /autodichiaratosi sommo esperto del settore perché scrive da qualche parte e quindi tu autore sei il wannabe di turno:

lungi da me ovviamente estendere la categoria a chiunque scriva di giochi :) sia ben chiaro :) :) :) :)
ma questo profilo di persone, abbiamo notato, è costituito da quelle persone che non fanno dello scrivere una conseguenza (vissuta con la dovuta modestia) dell'essere un esperto e quindi condividere la propria esperienza con gli altri, bensì ne fanno uno strumento di "autoqualificazione", per cioè distinguersi agli occhi del prossimo, darsi una posizione sociale talvolta erroneamente da loro percepita come superiore.

FP: critica qualsiasi cosa, partendo dalle scelte basilari del gioco (come ad esempio se sia un gioco all'americana o alla tedesca), denigrando ogni scelta partendo da presupposti assurdi tipo "io ai giochi all'americana mi rifiuto di giocarci" (che denota una scarsa capacità anche di capire quale sia il target del gioco). Ha molte idee di cambiamento volendo anche interessanti, ma le pone come dictat e non solo, ma critica anche non solo l'idea del gioco stesso, ma anche il questionario di valutazione, e persino il fatto che qualcuno si sia cimentato nella stesura di un gioco da tavolo senza averlo/a consultato/a prima, o senza aver prima accumulato la sua pluridecennale esperienza in giochi assurdamente complicati, che più volte nella sessione di playtest viene prontamente rimarcata, evidenziando al millesimo il numero di anni e mesi di esperienza, con tanto di citazione del primo anno in cui ha acquistato il primo gioco e il numero di ore di gioco medie in un anno.

Similitudine: il critico di cucina, che vede nello stroncare i ristoranti e le ricette il mezzo per aumentare la propria autorevolezza.

- l'amico critico:

FP: solitamente un profilo da evitare, ma alle volte può essere utile: conoscendo l'evoluzione del gioco, può avere qualche intuizione geniale per migliorarlo. Tuttavia il suo apporto è poco equilibrato: alle volte troppo entusiasta, condizionato dalla bellezza dell'idea del suo amico, e quindi poco utile a trovare le grane, talvolta invece troppo critico, perché appunto vorrebbe assolvere alla funzione di tester in maniera "soddisfacente" per il proprio amico e quindi tende ad ipervalutare talune criticità.

- l'amico che vorrebbe essere della partita:

FP: occhio a questi :) alle volte rischiano di essere tra i più dannosi :) solitamente è un/a amico/a che vorrebbe tanto essere nei panni dell'autore, arrivando ad immaginarcisi anche: benché sappia che l'autore è un essere animale razionale senziente e con una propria mente, tende a volersi sostituire e sovrapporre a quest'ultimo, specialmente nelle fasi di playtest, dove si mette a spiegare i perché del gioco, le sue meccaniche, etc... Qualora alle volte sia invitato a successivi playtest dove la versione del gioco è differente ed evoluta rispetto alle precedenti (oppure si sia autoinvitato :) ) mostra una certa resistenza al cambiamento poiché pensa già di conoscere il gioco ed ignora le nuove regole, mandando in confusione gli altri giocatori, che spesso reagiscono male, ritenendo il gioco più incongruente e complicato di quanto sia nei fatti, solo perché il giocatore in oggetto si intromette e addirittura smentisce le nuove regole.
Se possibile è meglio tenerlo fuori dai playtest. se si autoinvita, sappiate che dovrete gestirlo con le redini tirate o vi rovina il playtest :)
di buono ha che perlomeno è un buon incitamento dal punto di vista del morale perché fa il tifo per voi (ma come playtest.. voto 2...) :)

- l'autore socievole e ben disposto:

FP: tra i più utili.. che dire, essendo anche lui/lei calato/a nelle stesse problematiche di far girare un gioco, ed avendo esperienza nel "creare" e "gestire" meccaniche, vi sa dare consigli più che interessanti, perché semplicemente vi capisce. e si diverte anche a giocare un gioco naturalmente fallace per via del suo stato di sviluppo.

- l'autore che ha fallito e ci aveva riposto tante aspettative (eh si mi è capitato anche di quel tipo, ma era un autore di videogames non di giochi da tavolo quindi tranquilli non è fra noi :)

vedi il profilo dell'intenditore ostentato con la differenza che anziché snocciolarvi l'ammontare di ore di gioco, mesi ed anni, vi farà un discorso filosofico sulla base del "se non ce l'ha fatta lui, non ce la farà nessuno, quindi non provateci nemmeno"... decantando le lodi del suo progetto naufragato, vero intento psicologico del suo apporto (cioè cercare conforto e conferme), e dimenticandosi o stroncando in toto il vostro senza la minima considerazione delle meccaniche o del perché di un playtest.

ovviamente qui ho un po' fatto delle erbe dei fasci come si suol dire, e le persone sono molto più variegate, così come il loro contributo :)

però ho scritto questo x evidenziare che oltre a "testare" a prescindere, bisogna considerare anche il target con vogliamo testare, e, come dice l'articolo, cosa vogliamo chiedergli, cosa ci interessa; non solo, ma anche che TUTTI i feedback , anche i più critici, ed anche quelli palesemente gravati da substrati psicologici che li condizionano fortemente, TUTTI sono UTILI, però ovviamente vanno saputi intepretare, talvolta più tecnicamente, talvolta "leggendo tra le righe" :)

spero d'aver contribuito anch'io :)
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Re: L’arte del playtest

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Riporto qui l'articolo scritto da Walter “Plautus” Nuccio, l'originale è qui: http://www.gioconauta.it/2014/04/larte- ... t-parte-2/

L’arte del playtest – Parte 2

Nella prima parte di questo articolo eravamo partiti da una premessa: affrontare l’argomento “playtest” con un approccio un po’ più scientifico e un po’ meno artistico. C’eravamo quindi lasciati con un interrogativo: qual è la vera missione di un playtester, ovvero cosa può aspettarsi l’autore dalle persone cui sottopone un suo prototipo? La risposta che avevamo dato è che, al pari di quanto accade per i tester di un software, il ruolo dei playtester di un gioco da tavolo dovrebbe essere principalmente quello di evidenziare i difetti e le criticità che emergono durante la partita. Per illustrare meglio questo aspetto, immaginiamoci per un momento catapultati nel bel mezzo di una sessione di testing…

Una “tipica” sessione di playtest
L’autore e i suoi prodi collaboratori sono seduti allegramente attorno al tavolo, immersi nella prova di un nuovo prototipo. A un certo punto della partita, uno dei giocatori nota che ciascuno sta giocando per conto proprio, senza minimamente badare agli altri. Ecco quindi che si sente in dovere di intervenire con un suggerimento del tipo “qui sarebbe bello poter attaccare un avversario! Perché non facciamo in modo che io possa tirare un dado e, se ottengo più di te, ti rubo una carta?”. A questo punto il gioco si ferma e tutti prendono a considerare questa possibilità, con le implicazioni che comporta. Magari l’autore si convince che è una buona idea, torna a casa, ci lavora, e torna la volta dopo, con la nuova meccanica aggiunta ma anche con … il suo carico di nuovi problemi da correggere.

Cosa è accaduto in realtà? Che non è stato messo in luce il vero problema del gioco, e si è saltati immediatamente ad una soluzione, alla prima che è venuta in mente, per caso, ad uno dei tester. Quale era il vero problema del gioco? La mancanza di interazione, ovviamente. Invece di sottolineare questo aspetto è stata invece proposta immediatamente una modifica, probabilmente banale (l’attacco diretto tra giocatori è la prima cosa cui pensa un qualsiasi giocatore o designer alle prime armi), con le seguenti conseguenze:

la modifica proposta non ha necessariamente risolto il problema originario. Ciò dipende, in realtà, da tanti fattori, ad esempio: i giocatori sono davvero motivati ad attaccarsi l’un l’altro? E’ conveniente attaccare un avversario o è strategicamente preferibile starsene per conto proprio?
La modifica proposta non è in alcun modo coerente con lo spirito e l’atmosfera che l’autore vuole infondere nel gioco.
Non sono state nemmeno prese in considerazione altre possibili soluzioni.
La quantità di regole è aumentata: il gioco ora ha nuove regole che i giocatori dovranno imparare.
La meccanica aggiunta ha introdotto nuovi potenziali problemi nel sistema di gioco.
Esaminiamo questi punti uno alla volta:

A volte una nuova meccanica, o una nuova regola, sposta il focus del gioco nascondendo i vecchi problemi senza risolverli davvero. Ciò accade quando non si ha ben chiaro il problema che si vuole risolvere, e si procede per tentativi, inserendo nuove regole un po’ a caso per vedere cosa accade.
L’autore di un gioco ha in mente, per i giocatori, un certo tipo di esperienza. Se, ad esempio, non desidera inserire nel gioco una componente di “guerra” o di attacco diretto, tutte i suggerimenti che vanno in questa direzione saranno semplicemente fiato sprecato. E’ del tutto inutile, quindi, proporre all’autore del gioco di inserire nuovi elementi o meccaniche che, per una precisa scelta di design, sono state già escluse fin dal principio dall’idea di gioco.
Il design è un’attività creativa, e creatività implica libertà di scelta. Concentrarsi subito sulla prima soluzione che passa per la testa esclude da subito tutta una serie di possibilità alternative, magari meno ovvie e istintive ma potenzialmente più interessanti. Nell’esempio che abbiamo descritto vi sarebbero probabilmente molti altri modi di aumentare il grado di interazione nel gioco, senza necessariamente ricorrere all’attacco diretto.
Quando lo stesso prototipo viene proposto più volte di seguito allo stesso gruppo di tester, è facile per queste persone assorbire nuove regole di volta in volta, perché l’apprendimento avviene in modo graduale. Il rischio, però, è quello di trovarsi con un gigantesco polpettone, un pasticcio di regole che rivelerà tutta la sua pesantezza la prima volta che si renderà necessario spiegarlo ad un gruppo nuovo. Meglio quindi evitare di aggiungere nuove meccaniche (cosa a cui i playtester in erba sono molto propensi) senza aver prima messo a punto quelle già presenti.
Quando si aggiunge una nuova meccanica sulla spinta di un suggerimento, è facile che questa introduca nuovi problemi nel gioco. Questo perché i playtester tipicamente non sono pienamente coscienti (e come potrebbero esserlo?) delle relazioni che esistono tra le varie meccaniche e degli impatti che ciascuna aggiunta o modifica può avere sul resto del sistema. Per correggere i nuovi problemi emersi, qualcuno suggerirà probabilmente di aggiungere nuove regole, e così via, in una spirale senza fine…

Morale della favola: analizzare prima di risolvere
Qual è l’approccio giusto da usare, quindi? Non ho la presunzione di fornire una risposta definitiva, ma penso che sia utile riflettere sul seguente principio: “playtest vuol dire individuare problemi, con la maggiore accuratezza possibile, non necessariamente proporre soluzioni”.

Knizia una volta ha dichiarato che preferisce ragionare non su un singolo problema di design alla volta, ma su due problemi contemporaneamente, in modo da trovare una soluzione unica per entrambi. Questo, oltre a far risparmiare tempo, porta spesso a meccaniche più eleganti. Personalmente trovo estremamente utile seguire l’esempio del grande Reiner, per cui al termine di una sessione di test procedo innanzitutto ad evidenziare ed elencare i problemi, senza saltare immediatamente alle soluzioni.

D’altra parte è doveroso fare una precisazione: finora ho riportato solo esempi di playtest condotti con l’ausilio di semplici giocatori, nemmeno troppo esperti. Se al tavolo del vostro prototipo siedono altri autori o dei playtester che hanno già una buona esperienza, allora le cose stanno diversamente. Un autore, infatti, guarda ad un gioco con l’occhio del designer, cioè in modo differente da un giocatore; è maggiormente consapevole delle relazioni che legano le varie meccaniche di un sistema e delle motivazioni che stanno dietro certe scelte di design; egli, ben conscio che non avrà mai lo stesso livello di conoscenza approfondita che può possedere solo chi il gioco lo ha ideato in prima persona, sarà sicuramente più cauto nel proporre regole aggiuntive, dando invece maggior risalto all’individuazione dei punti deboli del sistema.

Un’ ultima riflessione vorrei rivolgerla, quindi, ai playtester, soprattutto se alle prime armi: se state provando un prototipo, focalizzatevi soprattutto sul tentativo di individuare esattamente i difetti del gioco, possibilmente analizzandone le cause. Non accontentatevi di un semplice “non è divertente”, ma cercate di capire il perché di questo giudizio, magari confrontando il gioco in esame con altri giochi simili. E se proprio non resistete alla tentazione di proporre una soluzione, esponetela pure, ma non cercate di convincere a tutti i costi l’autore della sua validità: lasciatelo libero di valutare e di scegliere con calma, successivamente, l’approccio da seguire.
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